La generazione delle start-up in garage è universale: abbiamo avuto tutti 30 anni e molti di noi sono stati appassionati di tecnologia informatica e digitale. Con la differenza che loro poi diventano gli uomini più ricchi del mondo e noi restiamo nel box – al più lo ampliamo e poi lo condoniamo.
Ma perché?
Abbiamo cercato risposte nella biografia di Jeff Bezos, CEO e fondatore di Amazon.com, secondo uomo più ricco al mondo, con interessi collaterali che vanno dall’editoria al trasporto aerospaziale, all’intelligenza virtuale.
Visionarietà e coraggio.
Jeff Bezos ha deciso di fondare Amazon nel suo garage dopo aver letto una notizia che dava Internet in crescita al ritmo straordinario del 2.300% in un anno. A quel punto ha deciso che doveva farne parte. L’ha fatto a metà di un anno che a Wall Street (a quell’epoca lavorava per un hedge fund) gli avrebbe fruttano un bonus di tutto rispetto, mollando un lavoro di tutto rispetto.
Quando ha comunicato la sua idea con grande entusiasmo al suo datore di lavoro, “ho deciso di mettermi in proprio, voglio vendere libri su Internet”, questi l’ha guardato e gli ha detto: è una buona idea, anzi sarebbe anche ottima per qualcuno che non avesse già un lavoro. Beh, l’ha fatto lo stesso.
Nel primo mese Amazon ha venduto libri in 50 stati, in 45 paesi diversi. Dopo 3 anni si quotava in Borsa. E qualche anno dopo, Jeff Bezos investiva in azioni Google, prima che l’azienda di Mountain View facesse lo stesso passo.
Determinati fin da piccoli.
Jeff Bezos ha fatto la sua bella carriera scolastica, dando anche qualche soddisfazione alla mamma e al nonno che adorava, lungo il percorso che l’ha portato a Princeston dove si è laureato in informatica, mostrando a più riprese una mente matematica e una vera passione per la meccanica. Prima ancora di compiere due anni, armato di un cacciavite, smontò la culla nel tentativo, sembra, di farne un vero letto.
Una certa dose di contradditorietà caratteriale.
Pare che Jeff Bezos, una furia spesso e volentieri con i suoi dipendenti, sia invece un padre amorevole di ben 4 figli, consideri la gentilezza un traguardo più difficile dell’intelligenza (riprendendo un ammonimento del nonno che ha condiviso in un celebre discorso con i laureandi di Princeton), abbia preso lezioni di danza per liberare il suo femminile e sia costantemente impegnato in azioni filantropiche..
Se può servire a inquadrarlo meglio, ha anche preso Trump a muso duro sul suo bando nei confronti dei visitatori “indesiderati” provenienti da alcuni stati mussulmani. Non bisogna mai fidarsi delle apparenze, ma apparentemente quello che ha scritto nella mail ai suoi impiegati parla bene di quest’uomo, anche se bisogna tenere conto, per essere oggettivi, che è il proprietario del Washington Post e che tra la testata e Trump non corre buon sangue…
“Siamo una nazione di immigrati le cui diverse estrazioni, idee e punti di vistaci hanno aiutato a costruire, a inventare una nazione per oltre 240 anni. Nessuna sa mettere a frutto meglio di noi le energie e i talenti degli immigrati. E’ un vantaggio competitivo e distintivo del nostro paese, che non dobbiamo perdere. Agli impiegati Amazon negli Stati Uniti e in giro per il mondo che possano essere direttamente interessati da questo bando dico che vi sosterremo con tutte le risorse di cui Amazon dispone.”
Jeff Bezos ha scoperto solo da grande che quello che credeva suo papà era in realtà un papà adottivo, che aveva sposato la mamma quando lui era piccolo. Il suo papà adottivo era un immigrato cubano trapiantato negli Stati Uniti.
ARTICOLO TRATTO DA FinRoad MAGAZINE; settembre 2017