A due mesi dall’inizio dell’era Mifid2 e in attesa di registrare gli impatti che la normativa avrà sugli attori del mercato, sono ancora tante le domande aperte. In particolare, a livello di implementazione della normativa tra reti, SIM e banche le strade prese sono diverse  –  c’è chi ha optato per le best in class, chi ha delegato la consulenza solo a figure direttive e così via – e sono diverse le problematiche ancora presenti. Ne abbiamo parlato con Giuseppe G. Santorsola, Professore Ordinario di Asset Management, Corporate Finance e Corporate & Investment Banking dell’ Università Parthenope di Napoli secondo il quale l’entrata in vigore della normativa Mifid 2, come previsto, ha creato una serie di problematiche legate sostanzialmente a due fattori:

  • l’assenza di un quadro regolamentare puntuale e nazionale (il regolamento Consob) in presenza di Mifir e cioè un quadro comunitario basato su principi piuttosto che su norme;
  • la difformità delle scelte dei principali player, dato positivo sotto il profilo della competizione di settore, ma risposta naturale rispetto al quadro regolamentare sopra ricordato.

Professore, qual è l’impatto della normativa sui principali attori del mercato?
L’impatto della Mifid 2 sui diversi soggetti coinvolti è difforme. Vorrei ricordare che l’acronimo significa “mercati” e “intermediari finanziari” e che questi ultimi si distinguono fra “producers” (le SGR) e distributors (le SIM), con qualche caso nel quale questa distinzione è solo formale a livello di gruppo, oppure prevede soluzioni strategiche particolari. Non è pertanto agevole né utile immaginare un quadro unitario delle soluzioni. Altrettanto, ciascuno non può confidare nel poter imitare le scelte di altri, dovendo far riferimento alle proprie strategie e strutture, nonché a dimensione e posizionamento di mercato. Un esame di maturità per molti operatori; tutti ammessi, ma qualche immaturo è possibile!
Ancora più in particolare, sussistono perplessità circa le condizioni a termine delle soluzioni organizzative adottate. Leggerei in positivo la scelta della regolamentazione per principi (tipicamente di matrice anglosassone e paradosso quindi, nella prospettiva Brexit) nell’ottica dello sviluppo di soluzioni innovative; resta il rischio di errori che portino all’esclusione dal mercato o quantomeno alla significativa modifica delle quote di presenza.
Sottolineo il riscontro statistico che vede le società distributrici di maggiore dimensione disporre di portafogli prevalentemente propri di prodotti in base alla consolidata situazione precedente; chi costruisce silos di prodotti di terzi è generalmente un player di minori dimensioni e assomma accordi di distribuzione piuttosto che costruire portafogli conseguenti ad una strategia ben finalizzata. Rilevo numeri sovrabbondanti di soluzioni di prodotto (anche nell’ordine di migliaia), una scelta non sofisticata che potrebbe generare confusione sia nella clientela sia – soprattutto – negli stessi consulenti chiamati a svolgere il proprio servizio sulla base di un magazzino troppo vasto, benché guidato dagli effetti-guida della POG (product governance) e del TM (target market).
Resto dubbioso in merito alla logica “best in class”
, conscio della difficoltà nel definire con certezza e condivisione chi sia “best” e se questa condizione possa restare nel tempo; preferisco pensare ad una logica “better”, intesa quale soluzione migliore rispetto ad un target di clientela prescelto; in altri termini, un target customer legato ad un target market, quale risposta al mutamento normativo da know your customer  (KYC) a know your product (KYP). Best è un marchio di presunta qualità che rassicura a monte, ma potrebbe deludere a valle (cioè nei risultati).

Simona Bruson, Sales Manager presso Raiffeisen Capital Management, intervista Giuseppe G. Santorsola, Professore Ordinario di Asset Management, Corporate Finance e Corporate & Investment Banking dell’ Università Parthenope di Napoli

Quali sono le maggiori difficoltà nel recepire la normativa?
Non esiste una difficoltà principale a mio parere, quanto un insieme di incertezze che tuttavia sono anche figlie della scarsa progettazione del cambiamento; ricordo nei mesi scorsi la prevalente condizione di attesa di un rinvio e l’eccesso di confidenza verso l’attesa di un regolamento guida della Consob cui ispirarsi, che non c’è stato; noto che alcuni intermediari ed alcune associazioni di micro-categorie hanno deciso o suggerito di astenersi da alcuni segmenti di attività in assenza di certezze circa i requisiti professionali e i modelli organizzativi idonei. Chi ha adottato soluzioni, teme in alcuni casi di aver ecceduto nella ricerca di qualità degli assessment (con i relativi costi), oppure ha costituito una difesa amministrativa verso future azioni di vigilanza e controllo, senza investire nella crescita della qualità. Per utilizzare un termine noto nel settore, è evidente la mancanza di un benchmark, fattore di riferimento; manca una conoscenza chiara di cosa sia la consulenza e come la si offra al mercato. Non è solo polemica, ma è la conseguenza normale dell’aver inglobato nel concetto emerso nella normativa tutte le possibili categorie; tutti debbono essere  “consulenti” per poter operare verso la clientela perché solo la consulenza viene ritenuto un servizio di investimento economicamente conveniente, ma io resto della mia vecchia opinione: i “consulenti-advisor” e non solo ”consultant” sono pochi. Temo e spero che la mia sconfitta sul principio sia il contrario della vittoria di Pirro.

Quanto il groviglio di nuove regole presta il fianco a possibili comportamenti elusivi da parte degli intermediari?
Se desideriamo impressionare il lettore, possiamo citare le 3000 pagine di Mifid 2-Mifir e, ancor di più l’insieme di documenti presenti nel sito della Consob dopo i comunicati del 29 dicembre (ferma restando l’assenza del nuovo regolamento intermediari dopo la consultazione del 6 luglio 2017). Ho esaminato anche, nel mio ruolo o quale cliente i documenti informativi “di sintesi” predisposti dalle società. Non li definirei semplificati, ma – soprattutto – li considero ripetitivi nell’adottare delle formule giuridicamente ineccepibili e come tali riproposte su ogni prodotto/servizio al fine di costituire una barriera difensiva utile contro future possibili contestazioni. Altrettanto si può dire in merito ai questionari di adeguatezza, per i quali denoto una scelta diffusa verso la sottovalutazione della clientela quale protezione verso l’assunzione di rischi. Resto perplesso circa le reazioni della clientela stessa in condizioni di mercato euforiche, quando dovessero risultare frenati proprie dalle classificazioni restrittive costruite in periodi di incertezza, mentre l’eventuale modifica comporterebbe il rischio per l’intermediario di essere accusato di comportamenti impropri al fine di collocare o suggerire soluzioni più rischiose e quindi più costose.
Il groviglio cui si accenna potrebbe indurre a peggiorare la qualità del servizio medio al fine di non cadere nella necessità di tenere in considerazione troppe regole; tale soluzione, peraltro, potrebbe risultare solo iniziale in attesa di osservare i comportamenti (e i rischi) dei competitori e l’atteggiamento – ancora sconosciuto – della Autorità; tra l’altro queste ultime potrebbero assumere ruoli diversi qualora la nuova Legislatura proponesse soluzioni di cambiamento alla luce dei pur modesti risultati della Commissione di Indagine. Personalmente infine, attendo di conoscere il nuovo profilo operativo della Consob sotto la nuova presidenza Nava.
In questo contesto, parlerei quindi di un rischio di elusione delle responsabilità, piuttosto che delle norme. Resta la valutazione precedente che ricordava la presenza di principi di fondo e non di requisiti stringenti; ne conseguono l’approccio minimalista del rispetto della soglia minima indispensabile e la tendenza a bloccare attività per le quali non si ha certezza di coprire tutti i potenziali rischi che ne potrebbero derivare. Anche in questo caso preferisco immaginare l’erosione tentata delle norme (il rispetto minimale), piuttosto che l’elusione (che significherebbe la gattopardesca assenza di ogni effetto positivo).
In altri termini invece, una prima conseguenza della Mifid 2 rischia di essere il freno al processo di innovazione e crescita qualitativa dell’offerta di prodotto e di servizio degli intermediari comunitari

La formazione dei consulenti è determinante per far decollare la normativa?
La trasparenza assomiglia ad un mito della letteratura greca: sintesi della differenza tra divinità e persone e della distanza tra potenza ed atto. La cerchiamo da tempo, inseguendola, tramite provvedimenti regolamentari, dopo averla inserita quale guida delle norme generali. Gli intermediari ne rispettano la forma, ma ne allontanano la percezione concreta. In realtà il cliente, tecnicamente inconsapevole, è alla ricerca di protezione effettiva e non di crescita culturale. La Mifid 2 presenta un profilo di interesse a questo proposito, sottolineando la responsabilità dell’intermediario nell’indirizzare il cliente verso una scelta; non abbiamo ancora riscontri in merito poiché l’efficacia si potrebbe dimostrare di fronte a situazioni di mercato critiche o al verificarsi di esigenze impreviste del cliente stesso. In merito alla formazione, conscio del mio conflitto di interessi, vorrei non soffermarmi sulla sua esigenza quanto sul riscontro, ottenuto non isolatamente, della soddisfazione del partecipante – soprattutto bancario – per aver ricevuto (in taluni casi finalmente) una informazione tecnica finalizzata alla sua crescita e non un addestramento di matrice commerciale e motivazionale alla vendita. Ancor di più ho potuto notare l’insorgere di nuove motivazioni anche in soggetti non più giovani e con posizioni e prospettive di carriera non elevate. Trattando invece dei consulenti finanziari (gli ex promotori), i rilievi più interessanti riguardano la preoccupazione verso i nuovi requisiti formali richiesti (ovviamente accolti spesso con ritrosia) e la naturale ricerca di soluzioni utilmente semplificatorie. In merito alla preparazione, osservo una forte varianza rispetto alla media…. Questa è superiore a quella del dipendente bancario, ma quale combinazione fra professionalità di qualità ed ottimo profilo ed altri soggetti meno idonei a contesti di alti controllo e regolamentazione.
Posso ipotizzare, quindi, una crescita della consulenza (in qualunque delle sue forme) nell’ambito bancario e una contrazione del numero dei consulenti agenti rispetto all’universo dei promotori preesistenti. Mi preoccupa infine al momento il continuo rialzo della loro età media, testimonianza di un basso ricambio e di una scarsa propensione da parte dei giovani all’ingresso nella professione.

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