Quando si esamina il contesto previdenziale non si può non fare una riflessione sulle diverse categorie di rischi sottostanti. Senza rischi, non ci sarebbe previdenza. L’obiettivo del sistema previdenziale pubblico di una repubblica fondata sul lavoro è quello di coprire i cittadini dal rischio di non essere più in grado di produrre reddito da lavoro per cause indipendenti dalla loro volontà:

  • inabilità temporanea o totale
  • disoccupazione
  • anzianità.

È bene però considerare che non esiste un sistema pensionistico che a sua volta non sia soggetto a rischi di tipo macro:

RISCHIO ECONOMICO

Nel momento in cui i numeri della macroeconomia, cioè dell’andamento economico del Paese, mettano in discussione le pensioni. Per esempio quando il Pil in calo non consenta più rivalutazioni delle pensioni e/o il rapporto deficit/pil obblighi, come conseguenza dei vincoli europei, a manovre finanziarie penalizzanti anche per i pensionati. La permeabilità tra le varie voci di bilancio induce infatti al rischio che per far quadrare i conti si debba tagliare una delle voci di spesa più consistente, le pensioni. Oppure, in una condizione di instabilità o stasi economica, il tasso di rendimento delle pensioni potrebbe scendere sotto il tasso di rendimento finanziario, inducendo i lavoratori a perdere denaro con la propria contribuzione previdenziale. Ma esiste anche un’altra dimensione del rischio economico che si concretizza nell’effetto che esso ha sul lavoro: instabilità, precarietà, interruzioni, lavoro nero a contribuzione zero. Tutti aspetti che come già visto influenzano negativamente l’adeguatezza del risparmio pensionistico. Ecco perché è importante che la politica si faccia carico di tutelare il mondo del lavoro, per proteggere la contribuzione previdenziale e per proteggere i flussi tributari di cui il Paese ha bisogno, lontano dall’ipotesi che il miglior modo di creare lavoro sia anticipare o favorire i pensionamenti.

RISCHIO DEMOGRAFICO

La piramide demografica già oggi, ma particolarmente nelle stime per metà secolo, mostra che il rischio demografico è rappresentato da una base di lavoratori troppo esigua per sostenere una sempre crescente “testa” di anziani. Un sistema a ripartizione infatti funziona solo con un’economia e/o una demografia in crescita. Ma nel nostro Paese nessuna delle due cose sembra andare in questa direzione. D’altronde, l’economia cresce in condizioni di tutela della famiglia e della maternità, consentendo alle donne un ruolo sociale e produttivo che in questo momento hanno solo per meno del 50% e a fatica, viste le scarse politiche per la famiglia. Nel caso della Francia, per esempio, pur in presenza delle nostre stesse dinamiche demografiche, il Governo ha saputo contrastarle tutelando la famiglia. Come risultato, in Francia l’indice di dipendenza degli anziani sulla popolazione attiva è molto inferiore al nostro. La matematica dice che, per essere in equilibrio, il sistema a ripartizione vuole che l’ammontare dei contributi previdenziali versati dalla categoria di cittadini lavoratori in un dato periodo sia sufficiente per pagare le pensioni correnti di quello stesso periodo. In questo quadro, un ruolo rilevante potrebbe averlo l’immigrazione, se ben gestita, portando forze giovani dal continente africano, in grande crescita demografica, con un orizzonte contributivo abbastanza ampio da sostenere l’equilibrio del sistema pensionistico.

RISCHIO POLITICO

Esiste infine il rischio che la classe politica perda di vista il lungo termine e decida, per pura convenienza elettorale, di agevolare la classe anziana fortemente presenzialista alle votazioni e sempre più consistente dal punto di vista numerico, erogando prestazioni troppo generose (rispetto ai contributi realmente versati, non in generale) e ignorando l’enorme ipoteca che si accenderebbe sul futuro dei giovani. Senza contare il rischio che questi, oltre ad essere vessati da una contribuzione altissima rispetto ad altri paesi, vivano condizioni lavorative tali da non consentirsi un risparmio previdenziale adeguato per la propria vecchiaia.

I rischi macro, a loro volta, si traducono in rischi micro, propri del singolo individuo:

INADEGUATEZZA CONTRIBUTIVA

L’accumulo di un montante contributivo ai fini pensionistici inadeguato a consentire di mantenere in pensione lo stesso tenore di vita che si aveva durante la vita attiva. In termini ufficiali questo rischio è rappresentato dal tasso di sostituzione che mette in rapporto l’ultima retribuzione e la prima prestazione pensionistica e dice di quanto si differenziano. Il vecchio sistema retributivo, detto a prestazione definita, garantiva una prestazione pensionistica pubblica pari all’80% dell’ultima retribuzione, per tutti gli anni di durata della vita. Il nuovo sistema sarà a contribuzione definita, ovvero dove certa è solo la contribuzione che viene divisa per gli anni stimati di aspettativa di vita. Spesso legata a carriere discontinue e incerte e al lavoro sommerso, l’inadeguatezza contributiva è un rischio che ci riguarda tutti:

  • i più giovani perché il lavoro che li attende è spesso incerto, precario, discontinuo, ritardando l’inizio della contribuzione pensionistica e diluendola a causa di varie interruzioni;
  • i meno giovani perché il nuovo sistema contributivo, che interessa gli anni di lavoro successivi al 1995, riduce di fatto il tasso di sostituzione a un ipotetico 60% per i lavoratori dipendenti, anche 40-50% per lavoratori autonomi;
  • l’unico modo di correre ai ripari è l’integrazione attraverso una forma di previdenza complementare.

CONSEGUENTE INADEGUATEZZA DEL REDDITO PENSIONISTICO

Può seriamente penalizzare la capacità degli individui di mantenere un tenore di vita dignitoso. Ma anche, è importante sottolinearlo, pesare sullo Stato, improvvisamente chiamato a sostenere una classe di anziani indigenti. E lo Stato siamo noi. Molte sovrastimano la propria capacità di controllo e sottostimano le spese del periodo pensionistico, dimenticando che più longevi vuol dire anche facilmente più inabili o bisognosi di un’assistenza personalizzata, la quale, già costosa di per sé, diventa praticamente inavvicinabile se l’anziano in questione, per esempio, non possiede la casa dove vive e deve pagare un affitto, specie nelle grandi città.

Articolo pubblicato su Patrimonia & Consulenza a cura di Emanuela Notari 

Diritto d’autore: unsplash-logoSammie Vasquez

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