Le piccole medie imprese sono l’ossatura industriale dell’Italia. Il 93% è di tipo familiare, cioè controllato o gestito da una famiglia, a fronte di una media Europea, secondo dati dell’Unione del 2018, intorno al 60%, e impiegano il 90% della forza lavoro. E non parliamo di negozietti: il 70% delle imprese con un fatturato compreso tra 20 e 50 milioni di euro è di tipo familiare (59% delle aziende con fatturato oltre i 50 milioni).

Secondo l’Osservatorio Aub, Associazione Italiana delle Aziende Familiari nato dalla collaborazione tra Unicredit e Università Bocconi, il 43% delle imprese familiari italiane è gestito da una persona ultrasessantenne (la stessa età media del 40% dei board di amministrazione), un quarto da ultra settantenni: nei prossimi 10 anni quasi la metà delle imprese familiari dovrà pertanto affrontare il passaggio generazionale.

È quindi comprensibile che il buon esito di queste successioni aziendali interessi l’intero paese per il peso economico, occupazionale e sociale. Tanto più che è ormai noto che, statisticamente, il passaggio generazionale è questione delicata che lascia a terra due aziende su tre.
Il 62% del valore aggiunto di queste imprese familiari è legato al Made in Italy e quasi tutte esportano il proprio prodotto ma l’export è fermo al 48% del fatturato (e solo 2 siti produttivi su 10 si trovano all’estero). E’ qui che si inserisce il valore di un buon passaggio generazionale.

Una recente ricerca quantitativa, Exploring family millennials’ involvement in family business internationalization: who should be their leader?, condotta su un centinaio di imprese familiari italiane dal Family Business Lab FABULA dell’Università LIUC (Salvatore Sciascia, Valentina Lazzarotti, Federico Visconti e Barbara Maggi, in collaborazione con Alessandro Cirillo, Università Federico II di Napoli) ha infatti dimostrato che il coinvolgimento dei Millennial è fattore trainante dell’intensità delle esportazioni e della internazionalizzazione delle imprese familiari.

Un po’ perché i giovani sono più propensi a parlare le lingue straniere, un po’ perché hanno viaggiato di più, un po’ per la familiarità con le nuove tecnologie, l’effetto positivo sulle prospettive estere viene proprio da loro. Tanto che risulta persino irrilevante, in questo senso, che il leader Millennial sia membro della famiglia o manager acquisito dall’esterno. Il che significa che in molti casi, di fronte magari ad eredi che hanno interessi diversi dalla conduzione e dallo sviluppo dell’azienda familiare, sarebbe più utile rispettarne i diritti successori in termini di quote, ma affidare le sorti dell’azienda a giovani manager esterni, che apportino gli stessi vantaggi di apertura verso l’estero, ma si appassionino alle sorti dell’azienda.

C’è quindi spazio per tutti, ciascuno in base alle proprie attitudini, e la collaborazione tra generazioni è un valore aggiunto delle imprese familiari. Le stesse che, sempre secondo gli studi di settore, hanno dimostrato, anche e proprio grazie all’effetto rassicurante e stabilizzante dei membri più anziani memori di bene altre minacce e crisi, come tenere la barra dritta durante la pandemia.

Resta certa la necessità di affrontare il passaggio di generazione alla guida dell’impresa secondo criteri professionali e gradualmente nel tempo, seguendo tutte le tappe indispensabili di informazione e coinvolgimento di tutti gli stake holder.

Testo a cura di Emanuela Notari

Diritto d’autore: Photo by Jack Lee on Unsplash

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