All’incrocio tra cause ed effetti del cambiamento climatico, gli immobili si portano sulle spalle il 39% delle emissioni (11% dovuto ai materiali usati per la costruzione e il resto dovuto al funzionamento, riscaldamento e raffreddamento, degli edifici). Ma ne subiscono anche le conseguenze non solo in termini di erosione diretta della loro integrità, come succede ormai sulle coste di tutto il mondo o a causa di inondazioni e piogge travolgenti, ma anche in termini indiretti con una erosione del valore dell’immobile perché posto in una zona esposta particolarmente agli effetti del cambiamento climatico o perché collocata in un mercato che ha sviluppato una tale sensibilità al tema che si preoccupa di scegliere di vivere in edifici sostenibili per diminuire la propria impronta carbonica individuale.
Ecco quindi che per i grandi immobiliaristi diventa importante la sostenibilità delle proprietà per difenderne il valore e la differenziazione geografica per ridurre il rischio climatico che un recente studio di McKinsleyr ha distinto in due tipi: rischio fisico di cambiamento climatico con il quale si intende l’esposizione potenziale ad alluvioni, mareggiate, incendi, caldo estremo, uragani.
L’altro è invece un rischio indotto dalla transizione che produce e produrrà cambiamenti nell’economia, nelle politiche, nei regolamenti locali, nella tecnologia e nei comportamenti umani, per esempio creando un mercato di affittuari che pretendono si sapere come si comporta l’edificio in cui decidono di abitare, dichiarandosi disposti a pagare di più per avere la certezza di un impatto sempre minore, alla ricerca affannosa di quell’impatto zero che tutti sogniamo.
Alcuni grandi imprenditori del real estate hanno recentemente condotto degli stress-test sulle proprietà nel loro portafoglio, trovando che nei prossimi anni potrebbero subire perdite di valore significative per un prevedibile svalutazione degli immobili in base al loro comportamento verso l’ambiente. Vuol dire che proprietà comprate per un certo valore, pur in assenza di un degrado dell’area in cui sorgono e pur manutenuti correttamente, sono destinati a deprezzarsi a breve. Capire quali, quando e come ciò avverrà è compito urgente di chi fa affari con gli immobili.
È chiaramente un problema più sentito in certe zone del mondo che in altre. In California c’è stato un aumento del 61% in mancati rinnovi di assicurazioni di case a causa dell’aumento dei prezzi o del rifiuto addirittura di coprire zone ad alto rischio. Bristol, in Inghilterra, è a rischio inondazioni, mentre la zona a nord dell’Holderness è quella a più alto rischio erosione in Europa. Ma non solo l’Inghilterra. E’ stato stimato che entro il 2100, cioè 80 anni, Venezia sarà sott’acqua e se non migliorerà la situazione, resa ancora più critica dal ritorno alle fonti di energia a carbone di qualche Paese europeo per far fronte alla mancanza di gas dalla Russia, non si mette meglio per i 7.500 chilometri di costa italiani che presentano un 42% di cosa bassa già in piena erosione. Urbanizzazione, turismo di massa, siccità di cui stiamo vedendo il clou in questi giorni ed eventi atmosferici acuti fanno il resto, così le case al mare in certe zone rischiano di vedersi svalutate.
In Calgary, Canada, la combinazione della volatilità dei prezzi energetici e la classificazione dell’area su un livello di rischio moderato sta influenzando negativamente il valore degli immobili, con un 30% di case in affitto non locate a Gennaio 2021 e investitori che stanno vendendo le proprietà per uscire dal mercato.
Le imprese immobiliari e gli investitori dovranno sviluppare una conoscenza più approfondita dell’impronta carbonica degli edifici su cui mettono gli occhi, con un’attenzione particolare a previsioni realistiche delle fluttuazioni di valore nel tempo sulla base di scenari diversi, corrispondenti a diversi livelli di rischio. La rivalutazione di un portfolio immobiliare sulla base del rischio climatico può comportare scelte difficili ma può aprire le porte ad interventi di sostenibilità e all’esplorazione di nuove opportunità.
Un esempio incoraggiante viene dal recente annuncio del primo smart district nazionale, Milano4You, che sorgerà entro il 2026 a Segrate, a pochi passi dall’Ospedale San Raffaele di Milano, su un’area di 300.000 mq con condomini residenziali, spazi per concerti, sport e gioco, circuiti ciclo-pedonali, senior living e studentato.
Il nuovo distretto, gestito da Sagitta SGR, in qualità di gestore del fondo immobiliare proprietario dell’area, e RED S.r.l., il developer che ha concepito e sviluppato il progetto, è smart in svariate accezioni. L’integrazione tra sistemi energetici, infrastrutture digital, caratteristiche costruttive ed ecosistema dei servizi per i residenti, vuole creare infatti un contesto di benessere in cui sia garantita la sostenibilità umana, economica e ambientale. La presenza di un sistema energetico basato su fonti rinnovabili come geotermia e fotovoltaico, abilitato da una smart-grid, consentirà un significativo abbattimento delle spese condominiali, rendendo così anche economicamente sostenibile il distretto. Milano4You è il progetto di un quartiere “data driven”, dove i dati diventano un ingrediente importante per la creazione di servizi ensuite sempre più innovativi. Nasce a Milano ma potrà essere replicato in altre zone del Paese, come proposta di residenzialità a un minor costo e con una migliore qualità della vita.
Testo a cura di Emanuela Notari