Il premio Nobel per l’economia 2020 ha portato alla ribalta teorie matematiche legate alla competizione, premiando due professori americani della Stanford University che hanno lavorato insieme allo studio e alla formulazione di nuovi formati di vendite all’asta. I detrattori di questa scelta dell’Accademia svedese sostengono che forse sarebbe stato più appropriato premiare qualcuno che con il proprio lavoro sia in grado di modificare la vita economica reale delle persone, data la situazione che viviamo. Disegnare nuove architetture d’asta sembra piuttosto lontano infatti dalla disoccupazione post-covid e dalla necessità di rimettere in carreggiate le finanze del mondo.
Eppure, il lavoro di Paul Milgrom e Robert Wilson ha effetti reali nella nostra vita di tutti i giorni. Più di quanto si possa pensare. E l’accademia svedese ne ha tenuto conto.
Le aste sono sempre esistite, almeno da 2.500 anni: nell’antica Babilonia, nell’impero romano, in Cina già nell’antichità si facevano aste per la vendita di ortaggi, pesce, schiavi e persino donne in moglie. Perché quindi due eminenti professori dovrebbero passare la vita a disegnare nuovi formati d’asta?
Perché le aste di oggi sono molto più complesse
Ciò che caratterizza le aste è l’incertezza circa il valore del bene che viene battuto, valore che ogni partecipante cerca di stimare in base a ciò che sa di quel bene e in base al comportamento dei suoi antagonisti. Il gioco sta nel partire da un prezzo minimo di base e fare offerte sempre al rialzo – modello inglese – oppure, al contrario, partire da un prezzo alto e da lì a scendere finché il pezzo battuto viene assegnato per una cifra che a uno dei contendenti sembra ragionevole – modello olandese.
L’incertezza e la paura di pagare più del dovuto, ovvero di sovrastimare il bene oggetto d’asta, detta “maledizione del vincitore”, inducono un bias di difesa che porta ad offrire cifre sempre molto più basse del reale valore del bene o addirittura a disertare aste per speculazione. A volte, mandare deserta un’asta è una strategia di lobby, una specie di cartello organizzato tra diversi player per far scendere il prezzo del bene.
La rilevanza del premio Nobel ai due studiosi americani risiede nel fatto che all’asta oggi non si stabilisce solo il prezzo del pesce, retaggio di un passato lontano, ma anche quello del petrolio o degli slot di atterraggio per gli aerei. Attraverso il format della vendita all’asta vengono assegnate le frequenze radio e TV e quelle della telefonia mobile, le licenze per la produzione di energia e quelle per inquinare con emissioni di CO2, titoli di stato e appalti pubblici.
Se smettiamo per un attimo di pensare al trumeau Luigi XV e cerchiamo di immaginare l’assegnazione di beni pubblici, come frequenze radio o di diritti di estrazione di petrolio, è facile capire come in questi casi delicati – oltre a garantire un’equa distribuzione dei beni in questione, libera concorrenzialità e ordine pubblico – bisogna anche garantirsi che non ci perda l’offerente permettendo che lo spettro della maledizione del vincitore porti a svendere porzioni di proprietà di un bene di cui ogni cittadino possiede una quota.
Partendo dallo studio della Teoria dei giochi – situazioni che prospettano dinamiche di competizione e di cooperazione – i due colleghi, 83 e 73 anni, l’uno mentore dell’altro, hanno sviluppato ulteriormente la conoscenza sulle dinamiche delle aste, atteggiamenti e comportamenti effettivi di venditori e compratori, e meccanismi di difesa degli interessi di tutti, compresi i contribuenti quando si tratta di beni pubblici. Partendo proprio dal problema della vendita di beni di interesse pubblico, nel 1994 Wilson e Milgron offrirono al governo degli Stati Uniti un nuovo format per la vendita all’asta di spazio radiofonico, che garantisse la tutela del valore del bene oggetto d’asta e del suo valore, un’asta che durò mesi ma che portò finalmente a un apprezzamento reale del bene che garantiva tutti i soggetti.
Il senso di questo Nobel lo ha dato con chiarezza Tommy Anderson, membro del Comitato svedese per l’assegnazione del Nobel per l’economia, intervistato da Johanna Rose: “Milgrom e Wilson hanno saputo utilizzare problemi teoretici per risolvere molte questioni pratiche”.
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