Dove si concentra la ricchezza nel nostro Paese? Nei due estremi della cultura di fatto fortemente rurale e post-bellica che ancora ci rappresenta: il bisogno di una incarnazione fisica del denaro nel mattone, da una parte, con l’80% della popolazione che possiede una casa di proprietà, e la sua “sublimazione” nella liquidità dall’altra, un accumulo pragmatico di potenzialità da tenere pronto alla bisogna. Mai l’accezione filosofica Baugmaniana di liquido in qualità di inconsistente, difficilmente etichettabile, anarchico, sfuggevole, camaleontico, qualunquista, fu tanto ben rappresentata da questa ambizione tutta italiana, paese sotto assicurato, di assicurarsi il futuro attraverso l’accumulo di denaro contante. Una volta nel materasso, in seguito sui conti correnti.

Nell’ultimo anno questa caratteristica spiccata della ricchezza italiana si è fatta ancora più netta: nell’incertezza generale meglio non impegnarsi in scelte vincolanti; il regno del non si sa mai.

Così oggi contiamo 1.745 miliardi di euro depositati dagli italiani sui conti correnti (compresi quelli delle imprese), 200 miliardi in più rispetto al 2019. Ma il 2020 è stato un anno che della paura e dell’incertezza ha fatto la norma.

Gli italiani, come molti altri nel mondo, non hanno prima potuto poi voluto spendere in un rincorrersi di crisi di offerta, durante il lockdown, cui è seguita una crisi della domanda a causa del futuro incerto, a tratti fosco. L’inflazione, confusa dall’alternarsi frenetico di situazioni opposte del mercato, ha perso per ora il treno. Non si è alzata durante la crisi di offerta, e non è scesa ulteriormente durante la crisi di domanda, perché le Banche Centrali hanno continuato a fare il loro lavoro che è quello di garantire la stabilità dei prezzi attraverso calmieramento dei tassi a breve, in una logica espansionistica. Ma anche un’inflazione all’1% è un segno negativo per il denaro inerte e nel tempo non può che peggiorare.

Negli USA dove la ripresa sta già iniziando e la Fed ha potuto iniettare liquidità non solo negli istituti di credito, come tutte le altre banche centrali, ma direttamente nelle imprese che cercano finanziatori sui mercati finanziari primari, lo spettro inflazione aleggia già.

In Europa non sembra ancora il caso di preoccuparsi, tanto che non raggiungiamo nemmeno l’auspicato 2%. Comunque, Fed e Banca Centrale Europea hanno promesso che continueranno nella loro opera di contenimento dei tassi di interesse ancora per un paio d’anni. Pur con l’obiettivo, almeno a livello europeo, di tornare nel frattempo a un’inflazione positiva contenuta.

Questa politica delle banche centrali spinge in ascesa i mercati azionari.

Le obbligazioni, infatti, non rendono più nulla e il rischio di un rialzo dell’inflazione porterebbe a rischiare di svendere quando i tassi saliranno o di attendere la scadenza naturale sapendo che il valore nominale al termine sarebbe svalutato.

Così i più restano fermi, e i più arditi si avventurano nel mercato equity che, infatti, sta guadagnando punti anche in un Paese, come il nostro, dove i piccoli risparmiatori non bazzicano più di tanto le Borse.

La liquidità è stata il faro anche della politica Tltro (Targeted Longer Term Refinancing Operation) con la quale la BCE ha fornito denaro a tassi super agevolati (-0.5%) alle banche con un forte invito (ma non l’obbligo) a finanziare le imprese. E le banche per buona parte l’hanno accolto, agevolate dalla garanzia statale del Fondo Centrale di Garanzia.

Quindi, oltre al rischio inflattivo, che per ora è limitato ma reale, anche se non contabilizzato – di fatto i soldi lasciati liquidi valgono già l’1% in meno sull’anno – quali sono gli altri rischi di tanta liquidità in banca?

Qui entra in campo lo spauracchio del bail-in, frutto di una direttiva europea entrata in vigore nel 2016, secondo la quale se una banca va in crisi, ne devono rispondere azionisti, obbligazionisti e i correntisti, questi ultimi tutelati solo fino a 100.000 euro di deposito. O meglio, fino a 100 mila euro il correntista rappresenta un creditore privilegiato (garantito dalla legge) ma per rientrare in possesso del proprio denaro ci potrebbe volere molto tempo. Solo fino a 20 mila euro la certezza di riavere i propri soldi è concreta e quasi immediata.

Vale infatti la pena ricordare una cosa che non tutti sanno: il contratto che lega un correntista a una banca è, ahimè, un contratto di passaggio di proprietà del denaro depositato. Finché il mio denaro è su un conto corrente bancario, non ne sono più io il titolare. Di fatto ho prestato il denaro alla banca della quale divento quindi creditore.

Stando così le cose, forse la cosa più saggia sarebbe dividere le proprie risorse liquide in diversi istituti di credito.

Tanto più che adesso molte banche, Fineco in testa, non accettano più o disincentivano i depositi oltre i 100 mila euro. Un po’ perché l’Europa spinge affinché la liquidità privata sia investita nell’economia reale, ovvero nelle imprese dei paesi, un po’ perché, in una situazione di tassi negativi, alle banche non conviene più tenere tanta liquidità.

Per riassumere, finché la situazione resta così, la liquidità accumulata non produce grossi danni, salvo sapere che, quando l’inflazione rialzerà la testa – e prima o poi lo farà, i soldi accumulati avranno perso potere di acquisto.

Come le macchine da corsa, il denaro lasciato inerte perde sprint. Quando non prosciuga in spese di manutenzione.

Testo a cura di Emanuela Notari

Diritto d’autore: Photo by Mathieu Stern on Unsplash

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