Cambiare tutto per non cambiare niente oppure nuova mazzata in arrivo? Più volte minacciata, costantemente evocata, si parla di nuovo di riforma del catasto, con precisi criteri di riforma che vanno dai metri quadri in sostituzione dei vecchi vani al valore di mercato che sostituisce, o meglio, attualizza la rendita catastale.
Nelle intenzioni del Governo ciò dovrebbe servire a rendere più equo il prelievo, evitando sperequazioni e ineguaglianze. Però, rassicura il Presidente del Consiglio, non ci sarà nessuno che pagherà di più e nessuno che pagherà di meno. Ma allora l’effetto equità della riforma da dove arriverebbe? Secondo il Governo dall’emersione dei cosiddetti immobili fantasma, non accatastati ma esistenti, che sarebbero circa 1,2 milioni.

In realtà un problema di mancanza di equità esiste e sta nel classamento degli immobili. Nello stesso quartiere di una stessa città immobili vicini possono entrare in classi catastali diverse ed avere, perciò, valori catastali molto diversi in base ai quali i proprietari vengono tassati. Capita già che il valore fiscale dell’immobile, in base appunto alla classe catastale di appartenenza, sia più alto del reale valore di mercato. Anche se, naturalmente, sono più frequenti sperequazioni in senso opposto, con immobili il cui valore fiscale è sottostimato rispetto a quello di mercato. Il delta maggiore tra valore reale e valore catastale sarebbe tipicamente più comune nelle piccole cittadine di provincia, la cui suddivisione in aree catastali è meno parcellizzata e quindi tendenzialmente meno fedele, rispetto alle grandi città, alla micro-realtà geografica dell’immobile. Il vero nodo quindi è il superamento degli attuali criteri di classamento, in particolare A2 e A3. Un tema difficile da dirimere perché tocca una delle due colonne portanti del risparmio degli italiani: il mattone. L’altra, si sa, è la liquidità.

Abbiamo chiesto un parere al nostro esperto patrimoniale, l’Avv. Roberto Lenzi, Studio Lenzi e Associati.

Ci mancherebbe che alzassero di nuovo le tasse; siamo già supertassati a tutti i livelli e questa riforma del catasto sarebbe una vera e propria patrimoniale. Tassare sulla base del valore di mercato immobili che potrebbero non generare alcun reddito, perché non affittati o addirittura abitati dai proprietari, è tutto fuorché equo. Sarebbe di fatto una maggiorazione del prelievo fiscale che non corrisponde a una maggiore capacità contributiva, perché non corrisponde a un maggior reddito. E allora cos’è se non una patrimoniale?
Per capire quel poco che ci è dato sapere oggi di una delega decisamente fumosa bisogna prima analizzarne gli ingredienti: dimensioni del fenomeno, tempistica, metodo e criteri.

Dimensioni: il patrimonio immobiliare privato nel nostro Paese vale oltre 5.500 miliardi di euro, secondo la settima edizione di Gli Immobili in Italia (Fonte: Agenzia delle Entrate – Ministero Economia – Sogei) e genera un reddito che nel 2018 era di circa 40 miliardi di euro.

Tempistica: di riforma del Catasto se ne parla da tanto tempo ma credo che verrà rinviata ancora a lungo perché una riforma di questo tipo non può essere solo tecnica. Ci sono tanti, troppi aspetti politici quando una riforma va a incidere sul bene primario del risparmiatore italiano: 3 famiglie su 4 abitano in una casa di proprietà. Anche il metodo mi lascia perplesso. “Non ci sarà nessuno che pagherà di più, nessuno pagherà di meno” E allora che riforma è? Subito dopo si dice però che bisogna riequilibrare il carico fiscale, perché ci sono persone che pagano troppo e altre che pagano meno del dovuto. È vero che nei centri storici si paga forse meno delle periferie, ma non era già intervenuta la normativa anni fa riclassando 124 mila unità con una delega ai Comuni? Se si tratta di identificare gli immobili fantasmi, perché non si mandano in giro i droni?

Quanto ai criteri: passare dai vani ai mq mi sembra cosa più che corretta, ma se il valore verrà definito in base al mercato vuol dire che verremo tassati sul valore patrimoniale di un immobile che prescinde da eventuale rendita, cioè si paga anche se l’immobile non è affittato o addirittura è abitato dallo stesso proprietario. Siamo sicuri infatti, che verrà esclusa la prima casa?
Trovo che questa presentazione della riforma sia piuttosto ambigua. L’ampia delega al Governo, poi – leggasi ampia agenzia delle entrate – mi appare l’ennesima mancanza di trasparenza. Un tema così delicato per i risparmiatori italiani dovrebbe essere discusso in Parlamento. Non siamo davanti a un caso di decretazione d’urgenza.

Testo a cura di Emanuela Notari

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