Patagonia, famosa azienda di attrezzatura e abbigliamento sportivo, del valore di circa 3 miliardi di dollari e con un giro d’affari di 100 milioni l’anno, ha ceduto le sue azioni al Pianeta: tutte le azioni senza diritto di voto (pari al 98% del totale) sono andate a Holdfast Collective, una società no-profit che protegge la biodiversità e la natura, combatte la crisi climatica e sostiene le comunità in difficoltà a causa del clima, mentre le azioni con diritto di voto (pari al 2%) sono confluite in un trust, il Patagonia Purpose Trust, controllato dalla famiglia, il cui scopo è tutelare la missione della società di “salvare il pianeta”.

Fin dalla nascita nel 1973, la società ha, infatti, sempre avuto le sorti del Pianeta e il benessere dei suoi lavoratori tra i propri valori guida: sostenibilità dei prodotti, sostegno a cause di attivisti in favore della natura e contro il cambiamento climatico, certificazione B corp. Basati in California, l’azienda ha fatto notizia per avere nursery interne e per concedere pomeriggi liberi ai lavoratori in giornate perfette per il surf.

Dal 1985 la società dona l’1% delle vendite nette a cause ambientali, attraverso “1% for the Planet”, gruppo creato dallo stesso Yvon Chouinard aperto a tutte le aziende che vogliono seguire il suo esempio, che in totale ha ricevuto donazioni per 140 milioni di dollari, di cui 50 dalla sola Patagonia. Sul sito della società di abbigliamento sportivo è possibile vedere i progetti sostenuti. Altro che green washing.

Patagonia: chi è Yvon Chouinard il fondatore dell’azienda

Nella lista dei miliardari di Forbes, Yvon Chouinard si è sentito, più che spaesato, a disagio. Anzi, traducendo dall’inglese pissed off, gli ha proprio dato fastidio, secondo quanto riportato al New York Times. «Non ho un milione di dollari in banca e non guido una Lexus». Ex alpinista e sportivo amante delle sfide all’aria aperta, tra roccia, kayak e surf, abituato a una vita modesta, Yvon Chouinard, 83 anni, cede il totale delle quote, mantenendo alla famiglia solo il controllo del Trust, per essere certi che la società continui a sostenere la protezione del Pianeta non più con l’1% del fatturato, ma con tutti i profitti che restano al netto delle spese di gestione e di sviluppo dell’azienda. Produzione e commercio delle linee Patagonia, infatti, continueranno, quindi per i lavoratori non cambia nulla, ma diciamo che il signor Chouinard ha risolto drasticamente il problema della sua successione, pur avendo una moglie e due figli quarantenni.

L’uomo è sempre stato un po’ particolare. Si racconta che quando era un giovane atleta girasse nel suo camper di fortuna e mangiasse cibo per gatti. Tuttora vive in una casa assolutamente normale, si veste con abiti modesti e guida una Subaru.
Colpiscono le parole che l’imprenditore ha consegnato al New York Times a proposito dei figli, totalmente allineati con i suoi principi e pertanto non intenzionati a prendere il suo posto. «I miei figli non volevano essere eredi finanziari dell’azienda. Anche loro condividono l’idea che ogni miliardario rappresenti un insuccesso della politica».

Qualche tempo fa fece scalpore una pagina pubblicitaria di Patagonia apparsa su Times il giorno del Blackfriday dal titolo “Non comprate questa maglia”. Titolo sicuramente d’effetto sopra un testo che richiamava il pubblico al senso di responsabilità negli acquisti proprio nel giorno in cui l’idea di comprare super scontato genera una frenesia da “affarone”. Pur facendo del proprio meglio per utilizzare cotone organico nei propri capi e farli in modo che durino e siano polifunzionali, l’azienda funziona se vende, ma la coscienza funziona bene se calmiera la tendenza ad acquistare cose di cui non si ha bisogno. Il payoff firmava lapidario “Patagonia. Siamo nel business per aiutare il nostro Pianeta”.

Yvon Chouinard ha comunicato la sua decisione in una lettera pubblicata su Internet dove ha così spiegato: «Invece di estrarre valore dall’ambiente e trasformarlo in ricchezza per gli azionisti, usiamo la ricchezza che Patagonia ha creato per proteggere la madre di tutte le ricchezze, l’ambiente. L’azienda resta for profit, ma i suoi profitti netti andranno a sostegno della Terra, vita natural durante. Spero che questo produca un nuovo tipo di capitalismo il cui esito non sia un pugno di ricchi e una massa di poveri». Secondo la normativa vigente negli USA, il tipo di no profit cui Yvon Chouinard ha ceduto le sue fortune non dà diritto ad esenzione fiscale, quindi l’operazione gli costerà qualcosa come 17 milioni di dollari.

Patagonia: perché la quotazione in Borsa non era un’opzione

Nei due anni del Covid il patron di Patagonia ha maturato la decisione che non sarebbe più stato un miliardario e ha messo al lavoro i suoi consiglieri e i suoi legali per individuare la soluzione giuridica migliore per i suoi piani di cessione della società. In assenza di proposte concrete, minacciò di chiamare uno per uno personalmente tutti gli uomini più ricchi della lista di Fortune per trovare chi avrebbe comprato Patagonia. Poteva anche quotarsi in Borsa, ma Chouinard ha subito escluso l’ipotesi con l’idea che raramente i mercati premiano le aziende che cercano di fare la cosa giusta e che anzi la pressione per creare profitto a breve termine è tale che è il senso di responsabilità a lungo termine a farne le spese. Alla fine la soluzione uscì dal cappello ed ottenne l’assenso di tutta la famiglia. Moglie e figli, questi ultimi impiegati nella società, non volevano raccogliere il testimone nella lista di miliardari e così Patagonia è stata regalata alle cause di sostegno del Pianeta.

Secondo il Presidente del Board di Patagonia, Charles Conn, la mossa di Patagonia si oppone al vecchio assioma del “capitalismo dei rendimenti” secondo il quale obiettivi corporate diversi dal profitto confondono gli investitori. «Se questo è vero, stiamo letteralmente facendo girare la testa al capitalismo dei rendimenti: adesso la Terra è il nostro unico azionista».

Testo a cura di Emanuela Notari

Diritto d’autore: Photo by Malik Skydsgaard on Unsplash

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