Chi scrive è “un quota 112” in termini previdenziali, senza alcuna intenzione di raggiungere quanto prima la “pensione”. Dedico circa 16-17 ore/giorno a varie attività fra lavoro, sport e curatela della famiglia e confido di poter continuare. Peraltro, la scala logaritmica della vita mi informa, ogni tanto, che la curva di discesa ha ragione progressiva e mi fa pensare che l’attenzione “previdenziale” sia e sarà da parte mia crescente. Mi si pone peraltro un trade off fra previdenza e patrimonio che non ha caratterizzato le generazioni precedenti la mia. Se si desidera costruire una condizione previdenziale rassicurante con il crescere dell’attesa di vita, non è facile provvedere anche alla costituzione di un patrimonio altrettanto apprezzabile. Viceversa, la liquidità nella fase terminale della vita potrebbe risultare scarsa e ci costringerebbe a cedere parte del patrimonio eventualmente accumulato.
I genitori e nonni hanno invece potuto contare sulla singolare combinazione di pensione all’80% e TFR al termine della vita lavorativa. La caduta del peso della prima ha costretto a deviare il secondo verso la previdenza integrativa, un cambiamento di fatto epocale, dovuto – magari – ad un eccesso di generosità o valutazione di sostenibilità da parte dello Stato. Per una fortunata circostanza, sono fra gli ultimi che ritroveranno il proprio TFR al termine dell’attività lavorativa. Il business della previdenza deve quindi poter contenere strumenti idonei al conseguimento di obiettivi successori succedanei alla carenza prospettica di patrimonio. Le quote di reversibilità costituiscono un esempio da tempo presente, che dovrebbe essere incrementato e favorito.
Altra alternativa è quella di trasferire l’onere di garantire una protezione degli eredi tramite prodotti assicurativi il cui pagatore è la compagnia che si assume il rischio demografico. Più difficile è, in questo anno 2019, il ruolo della finanza in quanto – applicando i tassi medi di rendimento dell’ultimo decennio in ipotesi vicine al risk-free – necessitano 35/40 anni per costituire un capitale doppio di quello iniziale (ipotizzando tassi intorno al 2%); se si procede con versamenti periodici (come d’uso nel caso), il lasso di tempo è ancora più lungo.
Se è consentito dalla salute e dalla tipologia dell’attività svolta, è preferibile restare nel mondo del lavoro, ritardando l’utilizzo del risultato previdenziale e salvaguardando il patrimonio eventuale costituito. Si tratta di investigare fra finanza e assicurazione quali soluzioni appaiano più congrue allo scopo, la cui scelta deve essere accompagnata da idonea consulenza patrimoniale personalizzata.
Articolo pubblicato su Patrimonia & Consulenza a cura di Giuseppe G. Santorsola, Professore Ordinario di Corporate Finance e Corporate & Investment Banking, Università Parthenope di Napoli.
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