La pandemia da Covid-19 ha spinto in maniera inequivocabile la vita di ciascuno di noi verso il digitale. Lavoro, vita sociale, acquisti e intrattenimento passano dalla rete e se sei sconnesso, sei tagliato fuori dal gioco. Il Digital divide, ovvero il divario digitale, separa la popolazione in due: chi ha accesso a internet e chi no. Ma se fino a ieri si poteva anche scegliere di stare fuori dalla rete, oggi è una necessità quasi di sopravvivenza civile.
Il Digital divide è anche un parametro economico che misura una disuguaglianza nell’accesso e nell’uso delle tecnologie e il divario digitale è sempre più causa di un divario socio-economico e culturale. L’Italia non è messa bene da questo punto di vista. Secondo un’analisi di OCSE, circa il 26% della popolazione italiana tra i 16 e i 74 anni non ha mai navigato in rete e solo il 24% degli italiani accede a Internet per usufruire di servizi pubblici. Si tratta certamente di un gap culturale che colpisce prima di tutto la popolazione più anziana ma tocca anche le fasce svantaggiate come le donne disoccupate, immigrati, disabili e chi ha una istruzione elementare. C’è poi un gap infrastrutturale: almeno il 30% della popolazione italiana ha una copertura a banda ultralarga insufficiente e questo non consente una connessione adeguata ai servizi internet soprattutto di ultima generazione (streaming, audio).
Il gap tecnologo, dunque, aumenta le diseguaglianze sociali e penalizza l’economia di un Paese. Per sanare il buco digitale italiano c’è una grande occasione dietro l’angolo che si chiama Next Generation Eu, il piano con cui l’Unione europea promuove trasferimenti e prestiti per la ripartenza dei Paesi Ue dopo lo choc del coronavirus. Si tratta di 209 miliardi di euro e il regolatore europeo ha messo la digitalizzazione al primo posto dettando due linee guida concrete:
- completare la rete nazionale in fibra ottica
- digitalizzare le filiere strategiche e della Pubblica Amministrazione con interventi contro il digital divide.
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