Dopo mesi nei quali i giornali hanno parlato di “great resignation” – le dimissioni di massa che stanno interessando il lavoro nel mondo anglosassone, una ricerca BVA Doxa per Mindwork scoperchia lo stesso disagio nel nostro Paese: tra i segnali di malessere che approfondiremo tra poco il 40% degli intervistati dichiara di essere preoccupato dal rientro a tempo pieno in ufficio e ben il 20% cambierebbe lavoro se si ritrovasse costretto tornare a tempo pieno.

Già qualche mese fa uno studio di Microsoft aveva detto che il 54% dei lavoratori della Generazione Z ed il 41% di tutta la forza lavoro globale potrebbero considerare di dare le dimissioni; leggermente più ottimistico un sondaggio US che parlava del 42%, legando la percentuale all’eventualità che le aziende smettano di offrire opzioni di lavoro a distanza. Un altro, questa volta del World Business Forum, sostiene che in UK e Irlanda sarebbe del 38% la quota di lavoratori che avrebbero intenzione di lasciare il lavoro nei prossimi sei mesi o un anno.

La ricerca che BVA Doxa ha appena pubblicato è stata condotta nel settembre 2021. I dati sono allarmanti:

  • il 49%, cioè 1 persona su 2, soffre di insonnia e ansia dovute a questioni di lavoro (la percentuale era del 35% prima del Covid);
  • per il 51% degli intervistati gli impegni lavorativi interferiscono con quelli privati/familiari (e viceversa);
  • sintomi di burn-out (sensazione di sfinimento, calo dell’efficienza lavorativa, aumento del distacco mentale, cinismo rispetto al lavoro) interessano ormai l’80% dei lavoratori, il doppio della quota pre-Covid;
  • almeno 1 lavoratore su 3 si è assentato dal lavoro per malessere emotivo e, restringendo l’indagine agli under 34 anni, circa la metà si è dimesso almeno una volta per preservare la propria salute psicologica.

Lavoro e pandemia: che cosa sta succedendo?

Molti hanno detto con chiarezza che il black-out indotto dalla pandemia ha messo sotto una lente di ingrandimento il valore del lavoro rispetto alla famiglia o semplicemente a se stessi. E molti di noi che non hanno trovato una risposta soddisfacente ne hanno dedotto di aver bisogno di un cambiamento. Il fatto di scoprire di poter continuare a fare il proprio lavoro anche da lontano grazie alla tecnologia ha fatto il resto, dando la carica a molti lavoratori, sicuramente ai più giovani, per fare il grande passo. Secondo Bankrate, società di servizi finanziari che ha recentemente sondato le aspettative di un panel di persone in cerca di lavoro, il 56% ritiene una priorità la flessibilità dell’orario e il lavoro da remoto.

D’altronde, prescindendo un attimo dalle difficoltà in cui sono incorse le aziende che si sono trovate improvvisamente sotto-staffate, il break e i suoi effetti sono stati salutari. Come eliminare per 6 mesi una categoria di alimenti che ci provoca qualche reazione di intolleranza fa riposare il corpo e ritrovare il proprio equilibrio, tanto che in seguito si può anche lentamente ritornare a tollerare quel cibo, così la pandemia ci ha permesso per un attimo di disintossicarci dal lavoro e guardare al nostro equilibrio di vita in modo più lucido.

Ma c’è un altro motivo che concorre, questa volta sul versante datori di lavoro: come il Covid  ha messo a nudo la reale natura delle persone, allo stesso modo ha reso ancora più netti ed evidenti i valori delle aziende. E quelle che non hanno rispetto per i propri collaboratori, che sono abituate a sfruttarli o a ignorare i fattori di stress o di rischio cui vengono esposti, o che, peggio, l’hanno dimostrato in un momento storico in cui nessuno avrebbe dovuto essere messo ulteriormente all’angolo, adesso assistono a una fuga di massa. Soprattutto in quei settori come il commercio che si sono improvvisamente scoperti lavori essenziali, tanto da continuare anche quando gli altri si proteggevano chiusi in casa.

Nel solo mese di Aprile negli Stati Uniti si sono dimessi 4 milioni di lavoratori del commercio al dettaglio. Di fatto ora il 94% dei dettaglianti e rivenditori americani hanno difficoltà a trovare candidati disponibili. Target e Best Buy hanno dovuto aumentare i salari, McDonald’s e Amazon offrono bonus di assunzione che dai 200 ai 1.000 dollari.

Lavoro e pandemia: il salario non è più al primo posto

Ma come stiamo scoprendo non è solo questione di denaro. La gente si è disintossicata e adesso ragiona con la propria testa e non accetta più di essere sfruttata, maltrattata, ignorata. Le aziende che in questo anno e mezzo hanno protetto i loro lavoratori saranno avvantaggiate rispetto alle aziende che non l’hanno fatto e che adesso si trovano a dover sopportare i costi di una fuga di massa. Ci vogliono 6-9 mesi mediamente perché un neo assunto dia il proprio meglio, un tempo che l’azienda investe nel lavoratore, non certo per vederlo andar via.

Giusta paga, certo, ma in molti rispondono che sarebbero disposti a guadagnare meno pur di vivere meglio: sempre secondo BVA Doxa in Italia il 42% dei lavoratori intervistati giudicano insufficienti o inefficaci le iniziative prese dalle aziende nelle quali lavorano per migliorare il benessere dei lavoratori. Un anno fa era il 27%.

Le tecnologie che stiamo sviluppando a passo di corsa devono in qualche modo servire a riequilibrare il tempo speso lavorando e quello dedicato agli affetti o alle proprie passioni. Altrimenti il gioco non vale la candela. In questa direzione va la recente proposta belga di ridurre la settimana lavorativa da 5 a 4 giorni la settimana, su una base di 9,5 ore anziché 6,5 ore al giorno.

La Spagna ha in corso un progetto pilota con 200 aziende che per tre anni sperimenteranno la settimana di quattro giorni. L’azienda Desigual, attraverso un referendum interno, ha varato con il consenso dell’86% dei lavoratori la settimana corta nella sede di Barcellona: 36 ore lavorative in 4 giorni anziché 39 in 5 gg., con una riduzione di salario del 6,5% a fronte di una riduzione di orario di lavoro del 15%.

Un giorno di lavoro in meno aiuta a riconciliare la persona con il lavoro, con la famiglia, con se stessa, e a produrre meno inquinamento e surriscaldamento. Fa discutere, ma potrebbe essere l’inizio di quel cambiamento.

Testo a cura di Emanuela Notari

Diritto d’autore: Photo by Dovile Ramoskaite on Unsplash

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