Una tavola interattiva su come è cambiata la speranza di vita in Italia è diventata il mio tool preferito. È affascinante vedere come durante tutto il ‘900 sia costantemente cresciuta e riconoscere nelle rare profonde flessioni, quasi delle crepe, l’effetto delle guerre. E purtroppo anche del Covid-19 che solo nel 2020 l’ha abbassata di 1,2 anni. Ma questo è il risultato statistico. In realtà chi non si ammala gravemente continua a poter sperare di vivere oggi fino a 83,5 anni, media tra uomo e donna, e si stima per metà secolo più di 88.

Tornando alla tavola, scopriamo che subito dopo seconda Guerra Mondiale, nel 1948, l’aspettativa media di vita era di 63,3 anni.

Vuol dire che negli ultimi 70 anni abbiamo guadagnato 20 anni di vita in più.

Ma dove li abbiamo messi? Tutti in fondo? Non proprio.

Sicuramente una decina l’abbiamo collocata all’inizio della cosiddetta età della vecchiaia, smentendola. Ormai arriviamo a 65 anni in condizioni fisiche e cognitive non dissimili da quelle di un cinquantenne. La vera vecchiaia è in qualche modo slittata in avanti di almeno di una decina d’anni, e ciò non solo in Italia ma in tutto il mondo sviluppato, tanto che qualche città del Giappone ha già deciso, autonomamente, che entro i loro confini la vecchiaia inizia a 75 anni. Forse sarebbe ora di fare questo cambiamento anche da noi e i conti tornerebbero, sia dal punto di vista demografico che sociologico. Ciò che però non cambierebbe anche se spostassimo in avanti l’inizio della vecchiaia è il fatto che viviamo tutti più a lungo. Ecco dove si colloca il secondo decennio guadagnato.
Basta considerare che se l’aspettativa di vita media oggi è 83,5 anni, chi supera gli 80 ha buone probabilità di viverne altri 9, mediamente. Superando così i 90. Perché? Perché il rischio morte subisce un rallentamento dopo gli 80. Una specie di plateau.

L’aumento della aspettativa di vita ha quindi impresso uno stretching sia della fase adulta, sia della fase della vecchiaia. Come è cambiato e cambierà di conseguenza il ciclo di vita?

L’allungamento della vita adulta fino a 75 anni, anziché 65, prima dei quali è decisamente azzardato considerare una persona anziana, aggiunge complessità alla vita.
Per prima cosa perché per rendere la longevità sostenibile economicamente dovrà allungarsi la vita professionale. L’età media di pensionamento in Italia è ancora intorno ai 62 anni ma presto non sarà più così. Migliori condizioni fisiche e cognitive consentiranno di allungare il periodo di vita professionale (con una necessaria eccezione per i lavori usuranti), per consentire di aumentare il proprio patrimonio contributivo e alla fine, l’assegno pensionistico. Ma anche perché dietro l’idea di un pensionamento che duri 20 anni e oltre c’è non solo un rischio economico, personale e collettivo, ma anche un rischio di marginalizzazione dell’individuo.

Quello che gli esperti sostengono è che il mondo imprenditoriale e gli Stati regolatori dovranno lavorare congiuntamente a una flessibilizzazione di orari e mansioni dei lavoratori senior in fase di pre-pensionamento, e remunerarli con un mix di pensione e salario. Inventare nuove forme di uscita graduale dal mondo del lavoro sarà indispensabile.

Ma anche l’individuo dovrà immaginare come prolungare la propria attività compatibilmente con un contenimento delle energie e dei tempi di lavoro. Sono già tanti i lavoratori senior che proseguono la propria attività con formule di consulenza o di lavoro part-time e collaborazioni da gig-economy. E’ sempre una scelta autonoma? No. Non sempre. La crisi imposta dal Covid-19 ha costretto persone che erano in dirittura d’arrivo per la pensione a cercare un nuovo lavoro e continuare il proprio percorso professionale.

Cosa serve per affrontare un cambiamento di programma così profondo? Elasticità mentale, competenze trasversali, disponibilità a reinventarsi, curiosità e capacità di mantenersi mentalmente allenati al cambiamento.

Questo è il secondo effetto imposto dalla longevità al ciclo di vita. Per poter affrontare il primo, lavorare più a lungo, sarà indispensabile mantenersi costantemente aggiornati e non solo sulle proprie competenze principali, ma anche su quelle cosiddette trasversali che potrebbero aprire porte inaspettate in categorie professionali diverse da quella abituale. Inoltre, i cambiamenti oggi sono così veloci che non è più pensabile che a 50 o 60 anni sia sufficiente la formazione che abbiamo ricevuto 30 o 40 anni prima.

Ma lo stretching della vita lavorativa e il rinnovamento periodico della propria formazione agitano in qualche modo anche la linearità della vita personale. Guardando al numero crescente di separazioni e divorzi in età già matura, viene da pensare che aspettarsi di più da se stessi e più a lungo implichi anche che si dilati l’aspettativa di soddisfazione e nuovi equilibri, togliendo alla famiglia la patente di unicità che aveva nel passato. Non più una, unica e granitica. Forse perché di granitico non c’è più nulla, se non il continuo affinamento della propria esperienza di vita.

Se tutto ciò è vero, anche il ciclo di vita del risparmio del Premio Nobel Franco Modigliani viene, in parte, sovvertito. O meglio, la successione temporale tra le fasi di studio-professione-carriera-pensionamento resta, ma l’andamento non sarà più necessariamente così lineare. Altrettanto si può dire per le fasi di accumulo e decumulo di risparmio. Restano sicuramente alla base del processo di evoluzione delle risorse economiche di una persona, ma dovremo ripensarne la sequenzialità, da lineare a ciclica, con momenti di accumulo e momenti di decumulo per un investimento o per aiutare i figli, e poi di nuovo di accumulo e successivo decumulo, dove questo non necessariamente si identifica con la fase finale della vita.

La longevità sta modificando profondamente l’età in cui normalmente si eredita e il ruolo stesso dell’eredità che nel passato è sempre stato quello di aiutare i figli ad avviare o consolidare la propria vita e che oggi, invece, rischia di arriva a giochi fatti, quando una persona è già, per la demografia corrente, “anziano”. Ciò rischia di tagliar fuori dall’efficacia della successione un’intera generazione.

Ripensare la successione è un punto fondamentale della consulenza patrimoniale di oggi, per prima cosa introducendo l’obiettivo primo di pianificare le risorse economiche del cliente affinché si assicuri il reddito necessario per tutta l’aspettativa di vita e oltre, con un extra che lo garantisca anche se dovesse superare gli 80 anni e trovarsi a vivere fino a 90.

Ma, prima ancora, il patrimonio del cliente deve essere organizzato e pianificato prevedendo strumenti di anticipazione di parte dell’eredità ai figli quando ancora questa può fare la differenza nella loro vita. E lo stesso può valere per i nipoti, per i quali varrà di più un’esperienza di studio in una prestigiosa università che ne determini lo sbocco di carriera o un fondo pensione piuttosto che trovarsi un lascito che non modificherà le sorti di un futuro dove livello di remunerazione e previdenza privata possono fare davvero la differenza tra benessere e malessere.

Testo a cura di Emanuela Notari

Diritto d’autore: Photo by Chaitanya Tvs on Unsplash

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