Nell’Universo ci sono miliardi di galassie, nella nostra galassia ci sono miliardi di pianeti, ma esiste un unico solo pianeta Terra. Un’unica grande casa, la nostra, che versa in uno stato di grave malessere. La giornata mondiale dell’Ambiente con questo incipit porta due notizie, una cattiva e una buona. La prima, quella cattiva, è, appunto, che c’è una sola Terra e stiamo seriamente rischiando di perderla. L’altra, quella buona, è che le cure esistono e saremmo ancora in tempo, ma dipende da noi, a tutti i livelli, dalla nostra scelta di diventare tutti militanti di una causa comune. E tutti vuol dire i comuni cittadini, le industrie e le imprese, le comunità, gli enti finanziari, i governi, gli enti sovrannazionali, come matrioske che si incastrano perfettamente l’una nell’altra.
Come ci comporteremmo se la nostra casa fosse lurida, pericolante, con residui di amianto, piena di spifferi e parassiti? Come ci comporteremmo se all’interno della nostra famiglia, a differenza degli altri, qualcuno non avesse sufficiente cibo, medicine, accesso alla scuola? Come ci comporteremmo se il medico di famiglia da anni ci stesse dicendo che se non interveniamo velocemente, se non mettiamo mano alla pulizia, alla sanificazione, all’alimentazione, il futuro della nostra famiglia sarà seriamente a rischio? E quel membro più fragile, addirittura a rischio vita? Solo un pazzo o uno scriteriato non prenderebbe in mano la situazione.
Il problema è che noi non pensiamo al pianeta come a casa nostra, alle popolazioni che soffrono come a nostri fratelli, salvo quando sono vicinissimi e ci somigliamo. E anche quando ci forziamo a questa identificazione, ci appare subito con straordinaria evidenza come alcuni interventi siano di chiara competenza di qualcun altro: del condominio, del Comune, della Regione, dello Stato, dell’Europa, delle Nazioni Unite. Così, in attesa che ognuno dei livelli superiori faccia la sua parte, noi continuiamo a vivere in un ambiente malsano e precario, tanto che qualcuno della nostra famiglia rischia la vita.
Climate change: quali sono le azioni concrete da fare
La campagna 2022 per la giornata mondiale dell’ambiente ha posto giustamente l’accento su due elementi fondamentali per una nuova militanza laica. Il primo è che c’è un compito per ogni livello – governi, enti locali, imprese, finanza, organizzazioni e cittadini – ed esistono le soluzioni alla portata di ogni livello, già sperimentate da qualche parte dove sono state usate con successo. Questa grande casa è circolare e comunicante. Se si pulisce un locale, ma quelli intorno continuano ad emanare veleno, anche quella bella camera non resterà pulita per molto. Bisogna muoversi tutti nella stessa direzione e incitarsi a vicenda, usando a proposito il potere dei social e dell’appartenenza di gruppo, della persuasione e dell’esempio; allora il lavoro di ogni singolo avrà un’efficacia esponenziale. Il secondo elemento della campagna è che siamo ancora in tempo. Una buona notizia che però ha un risvolto terribile. Se siamo ancora in tempo per questione di una manciata di anni, 20 o 30, significa che siamo anche la generazione storica che avrà la maggiore responsabilità per essere riuscita a salvare il Pianeta o non ci sarà riuscita. E anche se in questo caso è ragionevole che non ci sarà nessuno a puntarci il dito contro, è una ben brutta consapevolezza.
Alla base di ogni singola crisi ambientale registrata su questo Pianeta c’è il modo irresponsabile in cui usiamo le risorse e disponiamo dei nostri rifiuti, che impatta gravemente su quasi tre quarti della terra libera dai ghiacci e due terzi degli oceani: la domanda globale di risorse supera del 75% la capacità di questa Terra di provvedervi e le emissioni di gas devono essere dimezzate entro i prossimi 8 anni per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi. Ma da chi dipendono le emissioni? Per due terzi dalle nostre case, quindi attenzione ad incolpare le grandi aziende, gli aerei, l’allevamento, le trivellazioni, il traffico… Per due terzi dipendono da noi e secondo l’ultimo rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) i nostri comportamenti e i nostri stili di vita potrebbero, cambiando, ridurre le emissioni del 40-70% entro il 2050.
Abbiamo a disposizione una guida pratica, diretta a organizzazioni, comunità e individui, per cominciare autonomamente a invertire il destino della Terra:
Il senso di questa guida è offrire consapevolezza e strumenti – una serie di azioni concrete, mirate, sperimentate – richiamandoci tutti a un ruolo di attivisti quotidiani, senza altro megafono che l’esempio, la cooptazione, la diffusione sociale di comportamenti e valori.
- Le scienze comportamentali ci insegnano che per indurre gli individui a fare le scelte giuste bisogna suggerirle come opzione di default. In poche parole, se mettere da parte una piccola quota del proprio stipendio per la pensione integrativa è una scelta di default, che richiederebbe un’azione, anche solo una X su un modulo, per esprimere la volontà di dissociarsi, potete stare sicuri che quasi tutti seguiranno la corrente risparmiando per la pensione. E’ stato provato.
- Così, se ripulire l’Ambiente e comportarsi in modo responsabile diventassero opzioni di default, come se fosse improvvisamente chiaro a tutti che questa Terra è l’unica casa che abbiamo, potremmo sperare di farcela in tempo a salvare baracca e burattini. Questo processo ha bisogno di tutti noi perché alzare un dito contro l’Ambiente diventi improponibile come certe parole e certi gesti usciti dal nostro quotidiano per senso di decenza e appartenenza a una comunità sociale evoluta, che nel tempo ha bandito concetti e parole non più sostenibili.
- Dobbiamo fare un ultimo estremo tentativo di proteggere ciò che abbiamo e ricreare quello che abbiamo perso per andare tutti, nessuno indietro, verso un futuro migliore, più sostenibile, più equo, lavorando a trasformare le nostre economie e le nostre società nella direzione di maggiori inclusività, giustizia e rispetto per la natura, cioè casa nostra.
Testo a cura di Emanuela Notari
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