L’arrivo del salario minimo europeo è destinato davvero a cambiare le regole del lavoro secondo una logica di inclusione sociale? La risposta non può essere netta perché si lascia ancora troppo spazio alla contrattazione collettiva dei singoli Paesi Ue. Non c’è dubbio però che l’accordo raggiunto tra Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio europeo sulla proposta di direttiva su un equo salario minimo sia un passo avanti importante in questa direzione.
La direttiva europea sul salario minimo non è però una novità per il mercato del lavoro europeo. Esistono già leggi statali sul salario minimo in 21 dei 27 Paesi dell’Unione Europea. Tra i sei Paesi che non hanno mai pensato di fare una legge in proposito c’è l’Italia. Gli altri Stati che non hanno normato la materia sono: Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia.
Cosa è accaduto nei Paesi che hanno una legge sul salario minimo? A guardare i dati non sembra che ci sia stato un miglioramento delle condizioni economiche. Il salario minimo più basso d’Europa è della Bulgaria con 332 euro al mese, quello massimo è del Lussemburgo con 2.256 euro al mese. L’arrivo della direttiva Ue non sanerà queste differenze in un colpo solo, ma può aiutare a migliorare le cose dando a tutti i Paesi obiettivi minimi comuni.
In particolare gli obiettivi minimi richiesti dall’UE sono:
- Assicurare che i salari minimi siano adeguati in tutti i paesi europei.
- Il livello adeguato di un salario minimo tutti i paesi UE dovrà essere definito dopo aver adottato un sistema di governance con criteri definiti e uguali per tutti che si basino su parametri certi (potere di acquisto, inflazione, distribuzione e crescita dei salari, produttività nazionale).
- Il punto di riferimento per stabilire il salario minimo è la soglia di povertà che resta diversa in ogni Paese.
- Resta la contrattazione collettiva con gli organismi sindacali dei singoli Paesi a protezione e tutela delle condizioni di lavoro.
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