La donazione in Italia, com’è noto, ricade sotto la normativa successoria, pertanto è gravata da imposizione fiscale sul beneficiario, variabile a seconda del grado di parentela e della franchigia.

In termini generali la normativa di riferimento (D.lgs. 346/1990, Testo Unico su successioni e donazioni- TUS) prevede, per le donazioni stipulate all’estero aventi per oggetto beni ovunque esistenti e che coinvolgono donanti e donatari residenti in Italia, una tassazione con aliquote differenti e con eventuali franchigie in relazione al grado di parentela tra donante e donatario; così indicate (come per le successioni):

  • 4% a favore di coniuge/partner e/o parenti in linea retta (ascendenti/discendenti) con una franchigia di un milione di euro per ciascun beneficiario;
  • 6%, con franchigia di 100 mila euro, a favore di fratelli/sorelle;
  • 6%, senza franchigia, a favore di altri parenti sino al quarto grado, affini in linea retta e in linea collaterale sino al terzo grado;
  • 8%, senza franchigia, a favore di altri soggetti
  • nel caso di soggetti portatori di handicap grave (riconosciuto ex lege 104/1992) è prevista una franchigia di 1,5 milioni (non cumulabile).

Sono previste anche imposte ipotecarie e catastali in presenza di immobili

L’imposta è dovuta anche su beni e diritti esistenti in Italia se alla stipula dell’atto il donante non era residente in Italia (principio di “territorialità”, ex art. 2, comma 2, del TUS).

A detta di molti, la nostra fiscalità successoria e donatoria è particolarmente vantaggiosa rispetto a quella di altri Paesi a noi vicini (salvo Portogallo, Norvegia e Malta che non prevedono imposizione fiscale), a compensazione, in qualche modo, di una tassazione generale più gravosa.

Ma cosa succede quando un italiano residente in Italia riceve in donazione beni esteri (o denaro detenuto all’estero) da parte di persona residente all’estero? Lo chiediamo all’Avvocato Roberto Lenzi, dello Studio Lenzi e Associati. “Dopo varie interpretazioni, l’Agenzia delle Entrate, rispondendo a un interpello, ha chiarito che la legge sulla successione e sulle donazioni regolamenta chiaramente il passaggio di beni presenti sul territorio italiano da parte di un soggetto verso un altro, entrambi residenti in Italia, o di beni su territorio estero da donante residente in Italia. Se il bene o il denaro donato insiste, invece, su territorio estero e il donante è residente all’estero, il beneficiario italiano non deve pagare imposte di successione o donazione, né ha l’obbligo di registrare la donazione con il pagamento di relativa imposta di registro. Obbligo che era stato in primo tempo previsto dall’Ufficio delle Entrate nel 2004”.

Appare evidente come in certi casi, sempre più comuni in un mondo globalizzato, il chiarimento abbia effetti estremamente vantaggiosi dal punto di vista fiscale.
È il caso più comune di donazione di beni su territorio estero tra fratelli, di cui il donante sia residente all’estero, o tra genitori e figli o viceversa, sempre con donante residente all’estero.

Ma l’utilità di questa definizione della materia appare ancora più evidente se nei casi di relazioni parentali meno strette, come per esempio una donazione di uno zio residente all’estero a un nipote residente in Italia, o di un residente all’estero alla ex-moglie (divorziata) residente in Italia. O ancora di più, tra persone che non hanno alcun vincolo parentale. In questi casi infatti il risparmio fiscale può essere davvero ingente perché le aliquote sarebbero più alte e le franchigie più base o inesistenti.

Immaginiamo il caso di uno zio che, essendo stato a suo tempo aiutato dal fratello perché avviasse un’attività commerciale in un paese estero, si senta ora in obbligo di sostenere i due nipoti, figli del fratello appena venuto a mancare. Se risiedesse in Italia e i suoi beni fossero in Italia, la donazione di, poniamo, 300 mila euro a testa costerebbe ai nipoti donatari un’imposta fiscale del 6% sull’importo donato, pari a 18.000 euro. Senza franchigie. Se lo zio invece risiede in un Paese estero e il denaro proviene dal suo conto corrente estero, i nipoti non devono sborsare nulla, risparmiando, in totale, 36.000 euro.

Oppure facciamo il caso di un padre divorziato che dopo il divorzio si è trasferito all’estero e lì vi ha fatto fortuna. Ora che il figlio è grande intende donargli una proprietà in un paese estero che vale, poniamo, 3 milioni di euro. Se il padre risiedesse in Italia e la proprietà si trovasse in Italia, il figlio dovrebbe pagare al fisco il 4% su 2 milioni (la franchigia nel caso di parenti in linea retta è di 1 milione), pari a 80 mila euro. Nel caso di specie invece non deve nulla al Fisco italiano, fatto salvo quanto eventualmente sarebbe dovuto dal donante alla fiscalità del Paese estero.

E infine un caso che può sembrare estremo ma rende l’idea. Una persona facoltosa residente all’estero intende andare in aiuto della sua ex coniuge residente in Italia in difficoltà economica, oppure di una ex compagna cui è molto legato, comprandole una casa a Nizza o a San Marino o in Svizzera. Il valore è di 1.2 milioni. Quanto paga in tasse la ex moglie divorziata o la ex convivente? Se la casa fosse in Italia e il donante pure, 108 mila euro, il 9% del valore del bene senza franchigia, perché i due non hanno più o non hanno mai avuto vincoli di coniugio. Se la casa è all’estero e il donante anche, invece, il beneficiario non paga nulla.

Il parere dell’Avv. Roberto Lenzi è che questo chiarimento permette di gestire con maggiore certezza un ambito che era piuttosto contraddittorio, “ma è consigliabile, soprattutto quando si tratta di una donazione in denaro attraverso bonifico estero, che il beneficiario si doti di documentazione che possa attestare la natura e la causa dell’operazione, sia con riferimento ai rapporti con il sistema bancario, sia sotto il profilo fiscale (arricchimento patrimoniale su c/c)”.

Testo a cura di Emanuela Notari

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