Leggendo un articolo di Cinzia Pedemonte comparso su Affari di Famiglia mi si sono accese alcune spie, quelle brevi illuminazioni che a volte ci colgono sentendo raccontare da altri una storia che conosciamo. È la storia della governance della successione. Scelgo il termine di estrazione più aziendale ed economica di governance volutamente, per associare all’elenco di regole dell’Ordinamento Successorio anche la volontà dell’individuo, e relativo compagno/a di vita, e l’assistenza del consulente. Una specie di CdA della successione.

Per essere illuminata e consapevole, quindi, la successione della ricchezza personale di un individuo dovrebbe essere “gestita” e non lasciata rispondere acriticamente solo alle regole dello Stato. Perché ogni famiglia felice è felice come le altre, mentre ogni famiglia infelice è infelice a modo suo e una successione non gestita può aprire ferite che alla lunga minacciano la salute della famiglia.

Se l’Ordinamento Successorio è consultabile su carta o online in qualunque momento e può subito chiarire alcune regole di base (successione legittima, successione testamentaria, chi sono gli eredi legittimi e quali gli eredi legittimari), l’interpretazione delle stesse nell’ottica della singola famiglia/situazione personale va invece costruita con consapevolezza e prospettiva.

  1. La prima illuminazione che devo all’articolo di Cinzia Pedemonte è che nessuno non ha eredi. Anche in assenza di discendenti o fratelli/sorelle e genitori in vita, chi dice di non averne dimentica un elemento fondamentale delle nostre leggi in materia di successione: in assenza di eredi legittimari (riconosciuti tali dallo Stato tra i parenti più stretti) o testamentari, cioè parenti e persone cui siamo profondamente legati – il testamento è infatti l’unico mezzo attraverso il quale lo Stato consente a ognuno di noi di riservare una quota della nostra ricchezza, detta quota di legittima, a chiunque, parente o no –  lo Stato stesso diventa nostro erede. Quanti lo sanno? Sicuramente una buona quota dei nostri contemporanei, ma quanti ci pensano? Quanti ne sono consapevoli? Pochi, temo. Non varrebbe la pensa, che si abbia o no eredi legittimari, prendere quindi carta e penna e scrivere a chi destiniamo le nostre ricchezze? Potremmo includere persone che ci hanno benvoluto nella vita, pur non essendo legate a noi da vincolo di sangue, o un amico o una compagna convivente che, in quanto tale, non ha alcun diritto successorio nei nostri confronti. Oppure beneficiare ulteriormente qualcuno che è già tra i nostri eredi, al quale, per sua fragilità o per suo talento o per l’affetto che ci lega vorrebbe dare una mano extra.
    Ma l’inedita longevità che stiamo sperimentando impone il riconoscimento di un altro erede. Noi stessi quando non saremo più produttivi, un tempo che ieri era limitato a pochi anni di riposo e che invece adesso potrebbe durare 20-25-30 anni e necessitare di maggiori risorse. Nella pianificazione successoria, come nella gestione di un’emergenza ad alta quota, bisogna saper indossare per primi la maschera dell’ossigeno, prima ancora di aiutare gli altri, altrimenti rischiamo non solo di non poterli assistere ma addirittura di dover pesare sulle loro spalle.
  2. La seconda illuminazione è che il nostro patrimonio è da considerarsi nostro erede. Come figli, aziende, progetti portati a termine o invenzioni, anche il patrimonio è nato da noi, dalle nostre capacità, dalle nostre volontà e dedizione. Come tale merita la nostra attenzione anche in dirittura finale, evitandogli situazioni in cui venga eroso da conflitti tra eredi o dall’eterna confusione tra il diritto dei discendenti a quote di eredità e quello a quote di azienda: non tutti i figli sono la miglior risorsa per il “patrimonio azienda”. La consapevolezza che il patrimonio costituisce di per sé una “discendenza” lo rende più meritevole di riguardi e ci autorizza a prenderci cura del suo sviluppo e del suo futuro anche oltre il nostro percorso terreno. A questo proposito, per esempio, la gestione del portafoglio di una persona senior non smette per questioni anagrafiche, al contrario di quanto si pensi, di avere accesso anche al lungo e lunghissimo termine, se si considerano investimenti tesi a proteggerne il patrimonio e a svilupparlo nel tempo a beneficio di chi gli succederà.
  3. La terza e ultima illuminazione riguarda la fluidità del “parco eredi”. Chi sarebbe nostro successore oggi non equivale necessariamente a chi sarà nostro successore domani. Sia a norma di legge sia a norma di testamento. E’ uno dei motivi per cui il testamento è modificabile all’infinito e vale solo l’ultima stesura in ordine cronologico. “I figli so’ figli” è un concetto che abbraccia la filiazione in senso più ampio. Comprende figli che possono sopravvenire in futuro, come succede spesso a uomini maturi che, separati o divorziati, si uniscono a una donna, spesso più giovane, e si ritrovano novelli papà. Chi l’aveva previsto? Come questo nuovo erede può cambiare il panorama successorio? Lo stesso può valere per un ulteriore nipotino che potrebbe modificare la prospettiva di sistemazione immobiliare dei discendenti attraverso una divisione delle proprietà di famiglia. Oppure per il figlio pregresso di un nuovo compagno che si tratta come figlio proprio per anni, ma non ha sulla carta alcun diritto. Oppure, infine e limitatamente ai soggetti separati ma non divorziati, vale per l’applicazione acritica delle regole successorie che vogliono erede l’ex-moglie (per lo Stato tuttora moglie) e non la convivente magari da un decennio.

L’aumento continuo dell’aspettativa di vita, le buone condizioni con le quali arriviamo anche in tarda età e il profondo individualismo della società contemporanea allungano il percorso di ricerca di sé, di espressione dei propri valori e di perseguimento delle proprie ambizioni, seminando strada facendo conseguenze affettive e disaffettive che modificano il panorama successorio e meritano una vera governance strategica.

Testo a cura di Emanuela Notari

Diritto d’autore: Foto di JESHOOTS.COM su Unsplash

 

 

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