Cominciano ad essere svariate in alcuni Paesi le testimonianze di pensionati sessantenni (60/70) che decidono di tornare ad applicare le proprie energie a un lavoro, un’occupazione, un progetto, con tempi e modi diversi rispetto a quando lavoravano a tempo pieno, ma ancora in grado di farli svegliare al mattino con un senso di scopo.
Molti giornali americani e inglesi, e chissà quanti altri, stanno parlandone come un-retirement, inteso come un passo indietro rispetto al pensionamento come l’abbiamo sempre pensato. Riguarda spesso persone andate in pensione anticipatamente sull’urgenza della pandemia da Covid-19 che, dopo un primo anno, forse due, di luna di miele con il dolce far niente, si ritrovano a cogliere i primi segnali di un disagio mentale pericoloso da sottovalutare.
Non vuol dire necessariamente tornare a lavorare come prima di andare in pensione, ma tornare ad avere uno scopo funzionale al proprio benessere mentale e spirituale, talvolta anche finanziario, e a quello della comunità in cui vivono.
Alla base del fenomeno due fattori principali:
- Questa nuova popolazione di sessantenni è molto diversa da quando ad avere quell’età erano i nostri genitori o i nostri nonni. Gli attuali sessantenni godono di un dono che è il vero regalo della longevità, cioè dell’aumento dell’aspettativa di vita e delle migliori condizioni in cui si raggiungono i 60 anni oggi rispetto al passato: la possibilità finora inedita di conciliare esperienza e maturità, propri di un’età già avanzata, con le energie, la curiosità e la capacità di mettersi in gioco propria, solitamente, di un’età molto più giovane. È quella che qualcuno chiama super age, super età.
- Il secondo fattore è che, nonostante nell’ordine prioritario delle preoccupazioni di chi non è ancora pensionato riguardo la propria longevità la solitudine venga solo al terzo posto, dopo finanze e salute, in realtà tra i già pensionati pare che il rammarico più forte sia riguardo la perdita di relazioni e di senso di scopo. Lo sostiene George Jerjian, autore di un libro sul tema (Dare to discover your purpose: Retire, refire, Rewire) e di una ricerca da lui condotta su 1.500 pensionati over 60. Confortato da uno studio del 2021 condotto su 12.825 adulti over 50 e pubblicato sul Journal of Applied Gerontology che associa un forte senso del proprio scopo nella vita a comportamenti più sani e persino a un rallentamento dell’evoluzione di patologie croniche. Ma cosa vuol dire senso di scopo? Vuol dire la ragione per la quale siamo su questa terra, in questo momento. L’ikigai giapponese. «You can retire from your career, but you can’t retire from life» dice George Jerjian, un sillogismo che funziona meglio in inglese, lingua nella quale andare in pensione si dice to retire, appunto, ritirarsi. Si può ritirarsi dalla propria carriera, ma non ci si può ritirare dalla vita.
Lavoro e pensione: come pianificare la vita dopo la carriera
Questi due fattori messi insieme rendono sempre più urgente pianificare la propria vita dopo la carriera consapevoli che potrebbe durare 30/35/40 anni. Non a caso i maggiori enti finanziari stanno formando i propri consulenti per una pianificazione a 100 anni. Pianificare la longevità vuol dire pensare alle proprie finanze, ma anche avere consapevolezza di questa nuova età di mezzo e tutelare tutte le altre risorse, oltre al denaro, che concorrono renderla soddisfacente. È la base dei tantissimi corsi post-universitari che atenei americani ma anche europei in cui cominciano a scarseggiare gli studenti giovani offrono a professionisti di età matura per aiutarli a progettare un’inedita seconda parte della loro vita.
Nel suo articolo per Make.it CNBC George Jerjian propone un grafico che sintetizza i criteri che compongono l’ikigai giapponese, incrociando ciò che ci piace con ciò di cui la nostra comunità (o il mondo) ha bisogno, ciò che sappiamo fare bene e ciò per cui potremmo venire pagati.
Inoltre, fare qualcosa di utile ci porta ad avere relazioni con gli altri e la socialità finalizzata, che condivide, cioè, uno scopo, offerta da un progetto o da un lavoro, è elemento importantissimo del benessere delle persone anche dopo i 60 anni. Sono sempre di più le ricerche che lo affermano. Perché anche il lavoro è vita, dice Robert Waldinger, Professore di Psichiatria alla Harvard Medical School. E lavoro e vita sono e saranno sempre più intrecciati, come dimostrano i tanti i giovani che fuggono da impieghi che non parlano alla loro essenza, che non rappresentano i loro valori, che richiedono una separazione netta tra “lavoro” e “vita”, dove il primo è un sacrificio di un sé prestato per 8 ore al giorno a una realtà che non gli appartiene. Per le stesse ragioni spesso i senior sono andati in pensione appena possibile da carriere che non rappresentavano più i loro interessi o il loro equilibrio personale, pur avendo ancora energie fisiche e intellettuali da destinare a un progetto lavorativo, ma con regole diverse.
In una società dove scarseggiano le competenze e le risorse umane, sempre di più vinceranno le aziende che comprenderanno questo cambiamento della cultura del lavoro e approderanno a una diversa concezione dell’impiego delle risorse umane. Giovani e senior.
Testo a cura di Emanuela Notari
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