Pochi numeri usati come pennellate impressioniste compongono il nuovo Rapporto Istat sull’andamento demografico dell’Italia. Il rapporto si spinge a fare previsioni fino al 2080 e sebbene non sia granché utile prendere in esame le stime a 60 anni da oggi, come non si prenderebbe in considerazione una previsione del tempo da qui a 3 mesi, può essere utile comprendere la conferma delle tendenze in atto nel tempo. Niente di nuovo, infatti, qualche dato in peggioramento, e la sensazione, leggendone la sintesi, di assistere a una scena apocalittica en ralenti, ma questa non è una fiction e non ci sono cascatori professionisti. I protagonisti siamo noi, in carne ed ossa.

La fotografia Istat dell’evoluzione demografica in Italia

  • popolazione in calo dagli attuali 59 milioni a 54,4 nel 2050 (e fino a 45,8 mln nel 2080 se vogliamo azzardarci fin là);
  • sempre nel 2050, 34,5% (più dell’atteso terzo) la quota di over 65, 11,3% quella degli under 15 e in calo a 54,3% quella della popolazione in età lavorativa, dall’attuale 63% (ndr, se il rapporto tra popolazione in età lavorativa e popolazione realmente occupata restasse lo stesso di oggi, potremmo contare su 18 milioni di lavoratori… 5 meno di oggi) ;
  • il rapporto tra over 65 e under 15 quindi passerebbe dall’attuale 1,87 a 3,00 (da 187 a 300 over 65 ogni 100 under 15);
  • entro i prossimi vent’anni, quindi prima ancora del 2050, il numero medio di componenti per famiglia sarà 2,13, con una sola famiglia su 4 composta da una coppia con figli e una diminuzione del 22% delle donne in età fertile;
  • oltre 5 anni di speranza di vita in più da qui al 2080, che portano le donne a un’aspettativa media di 90 anni e gli uomini a 86;
  • il 40% delle famiglie sarà composto da una sola persona: l’aumento maggiore di single tra le donne over 65 (considerevole però anche l’aumento di uomini giovani single);
  • più coppie senza figli al Nord ma la velocità della crescita delle persone che vivranno da sole al Sud fa pensare a un invecchiamento troppo rapito per essere gestito.

Quali sono i trend demografici presenti e futuri

I trend sono certi: invecchiamento, solitudine, riduzione della capacità produttiva, aumento dell’indice di dipendenza degli anziani (rapporto tra chi è in età produttiva e chi è in età di quiescenza) e aspettative che fanno tremare i polsi nel rapporto tra numero di anziani che raggiungeranno età molto avanzate e numero di familiari giovani e adulti disponibili ad occuparsene. Infine, è contundente il dietro le quinte del dato sulla diminuzione delle donne in età fertile (15-49 anni) dagli attuali 11,7 milioni, a 10,8 milioni nel 2030, 9,2 milioni nel 2050 e 7,7 milioni nel 2080.

Quello che questo rapporto suggerisce, pur senza esplicitarlo, è che alcuni trend sono non solo confermati, ma rafforzati e se non si fa nulla per affrontarli il Paese è destinato alla marginalità, arrivandoci però attraverso sofferenze economiche, sanitarie e familiari che vorremmo tutti evitarci. Gli scenari indicati si evincono dalle previsioni mediane, il che significa che i numeri  potrebbero essere migliori o peggiori. In particolare:

  • potremmo improvvisamente vedere aumentare la natalità ma non avendo la materia prima autoctona per rivoluzionare le tendenze (donne in età fertile) sarebbero miglioramenti marginali;
  • potremmo veder aumentare ancora di più la mortalità rispetto alla natalità e se non si fa nulla per salvare il sistema sanitario nazionale è verosimile che ciò succederà, migliorando il rapporto figurativo tra giovani e vecchi ma segnando profondamente le generazioni che faranno da testimoni a un’ecatombe sociale;
  • potremmo decidere di applicare una visione strategica all’immigrazione e veder migliorare in altro modo lo stesso rapporto senza lasciare morti e feriti sul campo e migliorando la capacità lavorativa del Paese; potremmo anche cominciare davvero a investire sui lavoratori senior allungandone e adattandone le carriere professionali e aggiornandone le competenze;
  • potremmo infine volere con tutte le nostre forze valorizzare la nostra nascente longevity economy e diventare un polo di sviluppo di prodotti e servizi per una vita lunga 100, facendo della nostra tendenza demografica una specializzazione da esportare nel resto del mondo in forte invecchiamento.

Potremmo, ma, come per la crisi climatica, se non ci muoviamo subito sarà troppo tardi.

Testo a cura di Emanuela Notari

Diritto d’autore: Foto di Isaac Quesada su Unsplash

About the Author

Related Posts

Le dinamiche demografiche stanno fortemente influenzando l’andamento della forza lavoro con un...

Negli Stati Uniti un adulto su due è single, 16 milioni tra gli over 65. In Canada lo scorso anno...

Per strano che possa sembrare, le aziende e spesso anche i Governi accordano ad economisti ed...