A uno sguardo profano, sembra che la Mifid II abbia offerto al mondo finanziario l’opportunità di sviluppare ulteriormente il concetto di consulenza ma che una volta di più si rischi di prendere l’opportunità sottogamba.
E’ cosi?
“Temo che il rischio esista davvero” commenta Enrico Maria Cervellati, professore associato di Finanza Aziendale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. “La regolamentazione viene percepita da molti consulenti
finanziari come un’imposizione e questo impedisce loro di apprezzarne i lati positivi.
Personalmente sono sempre stato molto critico verso i questionari MiFID, ma interpretati in modo corretto potevano essere comunque utili. La MiFID II potrebbe essere ancora più utile sia ai consulenti che ai loro clienti, ma temo che anche questa volta non accadrà, un po’ per come vengono somministrati i questionari, un po’ per come sono concepiti, cioè secondo le teorie della finanza tradizionale per cui gli individui sono esseri perfettamente razionali e massimizzanti, per i quali è possibile misurare in modo esatto la propensione al rischio. Su questo tema esiste invece una vasta dimensione soggettiva che condiziona la percezione del rischio e quindi la tolleranza delle persone, e che varia anche nel tempo e a seconda delle circostanze e degli eventi anche personali. Non ultimo anche il modo in cui alla fine vengono interpretati e da chi”.
Questa inadeguatezza a valutare la reale di sponibilità/maturità del cliente nei confronti del rischio finanziario può essere pericolosa?
Molto, sia per i clienti che per i consulenti finanziari e gli stessi intermediari.
Dati non attendibili producono proposte sbagliate, che creeranno problemi ai clienti ma anche alle banche stesse, che si troveranno a dovere alterare le asset allocation proposte o a dover fronteggiare reazioni inattese dei clienti.
Arrivando anche a influire sui mercati e causare storture?
Sicuramente. Per esempio, se un consulente sottopone un questionario a un cliente in un momento in cui i mercati salgono, la risposta sulla tolleranza al rischio sarà viziata dal rialzo. Se lo fanno migliaia o milioni di consulenti con i rispettivi clienti, si può amplificare la propensione generalizzata a investire in strumenti rischiosi, in un circolo vizioso che porta le quotazioni a gonfiarsi ulteriormente. O peggiorando i cali di mercato nel caso opposto.
Occorrerebbe fare esattamente il contrario, come insegnano le tecniche di value investing utilizzate per esempio da Warren Buffett (Berkshire Hataway), comprese quelle di dollar cost averaging che portano a diminuire l’esposizione al rischio in fase di mercati crescenti e ad aumentarla quando i mercati calano.
Come suggerirebbe quindi di procedere?
Innanzitutto occorre predisporre test comportamentali o questionari per capire meglio i propri clienti. C’è già chi ha cercato di inserire alcune domande comportamentali nei questionari MiFID già utilizzati con, in genere, scarsi risultati.
A mio avviso le due cose vanno tenute separate, anche per cambiare la percezione presso il cliente, per fare capire la loro utilità ed evitare che vengano presi come un’imposizione. Recentemente sono stati introdotti anche questionari di personalità finanziaria che sono invece di estrema utilità.
Che consigli si sente di dare a chi affronta questa novità dalla parte de gli intermediari?
Cambiare ottica. Nel senso stretto del termine, cioé cambiare la lente con cui si leggono queste informazioni.
Meglio ancora, usare due lenti, quella tradizionale e quella comportamentale; vanno usate insieme perché servono entrambe.
Il ruolo del consulente finanziario è cambiato e cambierà sempre di più. Saranno sempre meno importanti gli aspetti tecnici e sempre più quelli relazionali. Non sto dicendo che siano trascurabili i primi, al contrario devono essere dati per scontati. I secondi invece vanno approfonditi e migliorati.
Un consulente solo bravo tecnicamente non darà più valore aggiunto, basta un roboadvisor a impostare un’asset allocation, ma il robot non è in grado di gestire le emozioni e gli errori comportamentali dei clienti.
Questo è il valore aggiunto che possono dare i consulenti in carne e ossa.
E in ottica Mifid II – quando verranno esplicitati i costi dei consulenti non solo in percentuale ma in termini assoluti (e fa una bella differenza!) – far capire al proprio cliente che valore aggiunto gli si dà a fronte di quanto gli costa il servizio sarà un vantaggio competitivo enorme.
Cosa consiglierebbe invece ai clienti, al mondo de gli investitori assistiti?
Nel mio ultimo libro scritto con Alberto Pattono “Investire con testa e cuore” chiarisco che gli errori più importanti li commettono i singoli investitori.
Una profilazione temperamentale – cioè relativa al temperamento della personalità – e comportamentale dà la possibilità al cliente di farsi conoscere meglio dal proprio consulente, il quale lo porterà piano piano anche a correggere i suoi “vizi” finanziari.
Da anni tengo corsi di finanza comportamentale a consulenti finanziari e i feedback sono estremamente positivi perché questi nuovi strumenti permettono di migliorare la relazione cliente-consulente. È come se il cliente avesse a disposizione un consulente “potenziato”.
ARTICOLO TRATTO DA FinRoad MAGAZINE; settembre 2017
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