Ci sono alcuni adagi che entrano nella testa e rimangono tra le sintesi felici di come va la vita. Per esempio quello che dice che la civiltà di un Paese si vede da come tratta i più deboli, bambini e anziani. Ma oggi ne ho trovato un altro in un’intervista di Rosario Iaccarino al demografo Alessandro Rosina per Passioni & Linguaggi: “La natalità è l’indicatore più sensibile, nei paesi più avanzati, alle condizioni oggettive del presente e alle prospettive future”.

Dove c’è fiducia e aspettativa verso il futuro, si fanno più figli. D’altronde basta guardare alla generazione più numerosa della Storia, i Boomers, nati in un momento, dopo la fine della II Guerra Mondiale, in cui si doveva e si voleva avere di nuovo fiducia nel futuro. Basta vedere il tasso di natalità nei microcosmi di alcune aziende illuminate che offrono un welfare inclusivo e un ambiente sostenibile, come ATM, Danone e sicuramente tante altre che promuovono gender balance e lavoro flessibile per aiutare le coppie a non dover scegliere necessariamente tra fare un figlio e lavorare entrambi.

Continua Rosina dicendo che ciò che distingue il nostro da altri Paesi non è un maggior disinteresse a formare una famiglia, come si può pensare, ma piuttosto le condizioni del processo decisionale e le difficolta a rendere l’avere un figlio una scelta di successo… Oggi, per la maggioranza delle persone, avere figli è sempre meno una scelta scontata”. E non solo per il prezzo economico che il Centro Studi Moneyfarm ha quantificato in 140.000 euro per figlio nei primi 18 anni di vita (cui ora facilmente ne seguono quasi altri 16, visto che l’età media di matrimonio/unione per i ragazzi è di 34 anni), ma anche per la derubricazione della maternità/paternità da benedizione-di-dio come era nel passato a uno stato come un altro, come stare in affitto o in casa di proprietà, come lavorare da dipendente o da autonomo, con i suoi pro e i suoi contro, senza più la spinta conferitale dal contributo al futuro del Paese. È stata l’eco della propaganda fascista a farci guardare con sospetto alle politiche di sostegno alla famiglia, così abbiamo fatto figli e nipoti che non la vedono più come un dato positivo, una responsabilità comune.

D’altronde, se fosse stato così complesso fare figli anche nel passato, non saremmo mai arrivai ai 60 milioni di un paio d’anni fa. Se fare un figlio diventa una decisione razionale, a tavolino, se ne fa uno solo, al meglio delle proprie condizioni e su di esso si concentrano tutte le risorse. Esattamente quello che ci sta succedendo con 1.25 figli per donna. Ma se l’intorno promuove l’idea di famiglia (prescindendo dalle etichette), sostenendo maternità e paternità e rimuovendole da quella zona grigia di inaffidabilità in cui vengono emarginati i lavoratori con la testa presunta altrove (caregiver di bambini o di anziani non autonomi), le persone tornano a fare figli più a cuor leggero. Che non vuol dire con leggerezza.

È questo clima generale di paese vecchio, senza prospettive e speranze percepite, sospettoso del futuro a far crescere i giovani scontenti e a loro volta diffidenti. Ma il loro cuore è ancora pronto a mettere lo spinnaker e a correre. Si è visto con l’elezione di Elly Schlein. Proprio i giovani che snobbano apparentemente la politica come un gioco di mediazioni al ribasso dove i temi a loro cari sono usati come leve elettorali e poi archiviati, sentendo parlare di giustizia sociale, conservazione dell’ambiente e lotta al precariato, hanno dato il loro voto siglando un nuovo rapporto di fiducia con il mondo adulto. Cerchiamo di non perderlo.

Testo a cura di Emanuela Notari

Diritto d’autore: Foto di Colin Maynard su Unsplash

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