La popolazione italiana è in calo. Siamo già scesi a 58,9 milioni ed entro i prossimi otto anni ci si aspetta che perderemo un altro milione di abitanti. Ma guardando solo ai lavoratori, per quella data se ne prevedono 2 milioni in meno. Questo perché il grosso della nostra forza lavoro è fatta di cinquantenni e proprio i cinquantenni (come anche tutte le classi più giovani) diminuiranno nel corso dei prossimi decenni, in favore della popolazione più anziana.

La previsione al 2050 è ancora più sfavorevole. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, infatti, la popolazione italiana in età lavorativa che oggi è di 37,5 milioni di persone scenderebbe per il 2050 a 27 milioni, perdendo così 10 milioni di potenziali lavoratori. Mentre la popolazione over 65 crescerebbe dagli attuali 14 milioni a 19. Per quanto nel frattempo possa aumentare l’età pensionabile, appare evidente che queste proporzioni sono insostenibili.

Ma c’è dell’altro. Il nostro è uno strano Paese dove a fronte di quegli attuali 37,5 milioni di persone in età lavorativa, solo il 59%, quasi 23 milioni, è realmente occupato. Almeno ufficialmente.

2 milioni circa i disoccupati in cerca di impiego, 12 milioni chi non ha lavoro ma non lo cerca.

Però le aziende non trovano personale. I dati dicono che il 45% della richiesta di lavoratori non è soddisfatta, nelle aziende che cercano lavoratori specializzati ma anche nella ristorazione e nel settore alberghiero dove non necessariamente è richiesta una formazione particolare.

Cosa succederà in prospettiva quando, tra meno di 30 anni, i potenziali lavoratori saranno pari agli attuali occupati effettivi? Succede che se il rapporto tra occupati e inoccupati resta uguale, di quei 23 milioni di persone in età da lavoro ne lavoreranno solo 13,5 e il Paese non si reggerà.

Perché servirebbe un Ministero della Transizione Demografica

La Germania è quasi nella nostra stessa situazione demografica e un problema pesante di mancanza di manodopera, sebbene la popolazione sia prevista in crescita quest’anno di 1,2 milioni, grazie ai profughi ucraini. Attraverso l’immigrazione la Germania sta da tempo correggendo le tendenze demografiche che condivide con noi. Tra il 2009 e il 2020, sempre secondo Eurostat, ha infatti scalato la classifica dei Paesi europei che accolgono più immigrati passando dal 4° al 1° posto, mentre noi, negli stessi anni, scendevamo dal 2° al 4° posto.

  • 2010-2020: la Germania scende in questi 10 anni nella classifica dei Paesi europei per tasso di dipendenza degli anziani dal 1° al 5° posto, noi teniamo saldamente il primo posto.
  • Il risultato è che le previsioni governative tedesche promettono una crescita della popolazione da 84 a 90 milioni per il 2070. Data entro la quale la nostra popolazione passerà dagli attuali 59 milioni a 47.7.

Olaf Scholz ha lasciato intendere che farà di tutto per scoraggiare il pensionamento anticipato che ancora oggi riguarda 1 nuovo pensionato tedesco su 4, con un anticipo medio di 28 mesi sull’età pensionabile, e chiede alle aziende di rimuovere i pregiudizi sull’assunzione di persone con più di 60 anni: lì stanno molte delle competenze che si cercano. Ma il Governo tedesco ha anche annunciato che promuoverà l’ingresso nel Paese di lavoratori extracomunitari con le competenze necessarie, attraverso un iter di concessione del visto più veloce e l’offerta della cittadinanza dopo 5 anni anziché gli attuali 8. Apparentemente la Germania ha bisogno di 400.000 migranti ogni anno per coprire le richieste di manodopera insoddisfatte nei settori salute, telecomunicazioni ed edilizia.

Noi non facciamo più asili, non li teniamo aperti tutto il giorno e non incentiviamo gli asili condominiali come fa la Francia, non regolamentiamo strategicamente l’immigrazione come fa la Germania. E non pensiamo che sia necessario un Ministero della Transizione Demografica.

Eppure in molti hanno già detto cosa bisogna fare:

  • formazione: aggiornamento, upskilling e reskilling dei lavoratori
  • dialogo costante tra enti formativi (comprese le università) e imprese per offrire “formazione utile” ai ragazzi
  • far funzionare davvero i centri per l’impiego con una banca dati nazionale, fuori dalle frammentazioni regionali, “per un sistema intelligente”, citando Alberto Brambilla, Itinerari Previdenziali, “di incontro tra domanda e offerta di lavoro”
  • conciliazione lavoro famiglia per promuovere l’occupazione e il tempo pieno femminile
  • pianificare strategicamente l’accesso a lavoratori immigrati in base alle necessità del mercato del lavoro.

Testo a cura di Emanuela Notari

Diritto d’autore: Foto di christian buehner su Unsplash

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