Ho seguito il tema dell’apparente iniquità di una Legge di Bilancio che per il biennio 2023-2024 prevede l’indicizzazione delle pensioni minime al 120%, di quelle fino a 4 volte l’assegno minimo (a memoria, quindi, inferiori o uguali a 2.286 euro lordi) al 100% e da quella cifra in su una penalizzazione che passa attraverso aliquote inferiori all’inflazione reale e nemmeno per scaglioni ma per fasce di reddito pensionistico.
Qualcuno ha parlato di incostituzionalità e in effetti la disparità c’è. Poi c’è stata la polemica per la proposta di alzare lo stipendio degli insegnanti del Nord per adeguarlo al maggior costo della vita ma, come ha osservato correttamente qualcuno, ignorando le differenze di servizi tra Nord e Sud. Se per curarti in Lombardia devi entrare in lista di attesa ma prima o poi ti trovano un posto in un ospedale mediamente efficiente, per curare molte patologie delicate in molte regioni del Sud devi sobbarcarti le spese e i costi sommersi di una trasferta verso un ospedale più a Nord…
Poi oggi, grazie a un amico che mi segue, ricevo e leggo un articolo di The Guardian che fa un ragionamento, secondo me, molto giusto. Non giusto nel senso che attribuiamo noi oggi alla parola, opportuno, ma giusto nel suo senso originale di equo, quindi non nel merito, forse, ma nel senso più ampio di giustizia universale (o divina, per chi ci crede).
Da dove cominciare? L’articolo di Polly Toinbee per The Guardian inizia con una affermazione: la tirannia delle medie nasconde vaste differenze socioeconomiche in UK. Le medie sono pericolose, ci sta dicendo, servono per capire i grandi trend ma prese in assoluto possono fare del male, perché dietro le medie si nascondono grandi ineguaglianze, in UK come in Italia, che così finiscono sottotraccia, invisibili al cittadino-medio e purtroppo alla politica che dovrebbe farsene un problema da toglierle il sonno.
Povero il Paese che debba accontentarsi di una politica delle medie
I dati ci dicono che mediamente gli over 65 italiani sono il gruppo di età più benestante: pesano per il 23% della popolazione ma detengono il 41% della ricchezza. Impariamo però a leggere dietro le medie: dentro quel gruppo di popolazione c’è chi riceve una buona pensione, possiede la casa in cui vive e una seconda casa (25%) e ha messo da parte sufficienti risparmi che lo fanno stare tranquillo a lungo termine. È di questi senior che parlo spesso con la comunità finanziaria che, occupandosi di wealth management, è interessata alla quota di senior con esigenze di gestire la propria ricchezza. Ma non rappresentano tutti gli over 65 e non si può fare finta di non saperlo. Altrimenti non ci sarebbero pensioni minime e tanto meno integrazioni al minimo per portare chi le riceve a un minimo livello di sussistenza. Queste persone, insieme a quelle che non hanno preoccupazioni economiche, fanno la cosiddetta media.
Il casus di cui parla Polly Toinbee su The Guardian si riferisce alla volontà del governo inglese di alzare l’età pensionistica da 66 a 68 anni.
Alcune le sue osservazioni:
- per prima cosa ci sono differenze consistenti di aspettativa di vita tra regioni più ricche e regioni più povere del Paese (ce ne sono, credeteci, tra quartieri ricchi e quartieri poveri della stessa città, in tutto il mondo…) e non è giusto che una stessa soglia di età pensionistica, per giunta in rialzo, ponga tutti sullo stesso piano: chi riceverà la pensione per tot anni e chi la riceverà per tot meno un po’… Nella città di Blackpool l’aspettativa di vita degli uomini è 67 anni e 3 mesi, inferiore alla soglia di età pensionistica proposta.
- Secondo, la diversità di qualità della vita riflessa nell’aspettativa di vita in buona salute implica che gli ultimi anni di chi mediamente vive meno siano anche in peggiori condizioni rispetto a chi vive più a lungo, con relativa minore capacità di lavorare più a lungo o per guadagnare un reddito che integri l’assegno pensionistico, generalmente più basso.
- Da noi le cose vanno meglio che a Blackpool, ma pure anche l’Italia vede una differenza di longevità tra regioni, legata soprattutto alle condizioni socio-economico e sanitarie. Secondo l’ultimo rapporto CNEL, l’aumento dell’aspettativa di vita nel decennio il 2010 e il 2019 non è stato uguale per tutti a livello territoriale: nel Lazio, per esempio, sono stati quasi tre gli anni in più conquistati dagli uomini e circa due dalle donne; all’estremo opposto si collocano Basilicata e Calabria, con poco più di un anno per gli uomini e solo sei mesi per le donne.
- Uno studio italiano pubblicato su The Lancet, anch’esso precedente alla pandemia quindi scevro da dati inficiati dal Covid 19, mostra come le disuguaglianze in termini di longevità siano non solo presenti ma aumentate nel tempo a causa di un differente passo nella crescita dell’aspettativa di vita a favore delle categorie più avvantaggiate a livello socio-economico (reddito-lavoro-studi), mentre è pressoché rimasta uguale la longevità per i quartili inferiori di questa categorizzazione socio-economica. Persino il livello di scolarizzazione determina una disparità di aspettativa di vita e di vita in buona salute. E’ stato calcolato (Mackenbach) che se la popolazione europea avesse lo stato di salute del 50% più scolarizzato si conterebbero 700.000 morti e 33 milioni di casi di malattia in meno ogni anno.
Tornando a bomba, È Sacrosanto. Ma in un Paese dove ci sono 187 anziani ogni 100 minori di 15 anni, lo Stato da solo non ce la fa. Essere uno dei Paesi più longevi al mondo deve essere un vanto. Ma per essere motivo di vanto deve valere per tutti.
Il Giorno della Memoria, Sky TG24 ha trasmesso l’intervista ad Edith Bruck, scrittrice e poetessa sopravvissuta ai campi di sterminio. Raccontava che un giorno ad Auschwitz (13 anni) le proposero di fare il “lavoro” di galoppino da un campo all’altro del grande complesso, una specie di messo o messaggero amministrativo. Un lavoro ambito perché dava diritto a un pezzo di pane in più. Edith Bruck rifiutò per non avere qualcosa in più degli altri, per non dover avere a che fare con l’imbarazzo di un privilegio, foss’anche all’inferno.
Impariamo a guardare cosa c’è dietro le medie.
Testo a cura di Emanuela Notari
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