La differenza tra esperienza e saggezza? L’esperienza è il frutto di un accumulo di eventi simili o assimilabili che costruiscono una competenza o una conoscenza replicabile con costanza di risultati. La saggezza è la metabolizzazione dell’esperienza e affinamento del senso di opportunità che ci permette di capire se la situazione che abbiamo di fronte ammette l’applicazione di quella data esperienza, e nasce da plasticità di pensiero, curiosità e umiltà. Ci avrei messo secoli a definire le due cose in questo modo, e probabilmente tra qualche mese o anno le definirei in modo diverso, se non fosse stato per un post di Chip Conley, grande esperto di transizioni e fondatore della Modern Elder Academy, che parla di una sua recente lettura, “The Myth of Experience: Why We Learn the Wrong Lessons and Ways to Correct Them”. Nel libro gli autori, Emre Soyer e Robin M Hogarth, spiegano perché l’esperienza può essere una guida efficace o una trappola a seconda del contesto.
In contesti lineari – in cui le regole sono chiare e i riscontri esatti e veloci – l’esperienza aiuta a muoversi correttamente perché i modelli si ripetono, tendendo a riprodurre quesiti e sfide simili in cui le scelte e la condotta adottate tempo prima saranno verosimilmente buone anche questa volta. Ma in contesti imprevedibili, spesso privi di regole fisse e di riscontri misurabili, frutto di continui cambiamenti, questo assioma potrebbe non valere e il costo – per gli individui, per le organizzazioni e per la società tutta – del “si è sempre fatto così” possono essere esosi, decisamente sottovalutati. Persino peggiori della gabbia del costante “non si può fare”, basato inevitabilmente su quanto visto e sperimento per una vita. Se il si è sempre fatto così e il non si può fare avessero guidato l’umanità in modo impermeabile alle deviazioni dettate da curiosità o visionarietà, saremmo ancora cacciatori con la clava.
Perché ha importanza questa piccola illuminante verità? Perché svela una legge che fa della sua sistematicità la sua lungimiranza: ai senior la memoria storica e l’esperienza, indispensabili a costruire conoscenza, ai junior l’improvvisazione e la visione destinati a integrarla e rinnovarla. Ma il rovescio della medaglia è che i primi tendono talvolta a non voler abbandonare i binari che conoscono e i più giovani ai voli pindarici. È tra questi due estremi che persone illuminate dalla frequentazione del dubbio – i manager e i leader migliori – mettono in campo la capacità di combinare i due talenti e scegliere di volta in volta se il contesto richiede o consente di applicare quella data esperienza o se non le appartiene, formando a loro volta le persone che guidano al pensiero critico.
Chip Conley conclude il suo post suggerendo una nuova figura organizzativa, l’Experience Coach, con il compito di aiutare i gruppi di lavoro a valutare i difetti o i rischi dell’applicazione automatica di una data esperienza a un contesto dato. Personalmente trovo complicato e quasi impensabile una specifica funzione, perché ce ne vorrebbe una per ogni ambito, settore, funzione. Ma credo nel ruolo dell’age manager, funzione di cui tanto avrebbero bisogno le aziende in una società lavorativa che allinea 5/6 generazioni contemporaneamente. Oltre ad allenare i colleghi con programmi adeguati a convivere e collaborare tra persone di età diverse – l’age manager potrebbe anche aiutare ad individuare nell’organico i soggetti che, per talento innato o attitudine personale, sono in grado di stimolare valutazioni critiche a seconda dei contesti, senza rallentare la produttività.
Imprese, organizzazioni e società hanno bisogno di una fattiva collaborazione tra esperienza e innovazione, tra certezze e ambiguità, tra giovani e senior come dell’energia che pagano a caro prezzo. Allora perché queste risorse – chiamate cacofonicamente “risorse umane”, una definizione esatta ma senza anima da Intelligenza Artificiale – sono destinatarie di minori consapevolezza, investimenti e valorizzazione? Il processo di integrazione può essere complesso, forse anche richiedere risorse economiche non previste, ma anche una sola soluzione innovativa e inattesa, in una parola creativa, sintesi perfetta di esperienza e visione, potrebbe aprire per le imprese vantaggi e guadagni insperati.
Testo a cura di Emanuela Notari
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