Poche cose sono così globali da rischiare di diventare un destino. Nel confronto tra i generi sicuramente la maggiore longevità delle donne anche se, per fortuna, in alcuni Paesi, per esempio il nostro, se l’aspettativa di vita si misura a 65 anni si nota come la forbice tra i generi si stia restringendo. Purtroppo, altro fatto globale, le peggiori condizioni di salute delle donne indicano una longevità non buona: la menopausa, causa di una rivoluzione ormonale nelle donne, continua ad arrivare alla stessa età, più o meno, della metà del secolo scorso, ma la vita dura 20 di più. Quindi 20 anni in più di cattive condizioni, cui si aggiunge la scarsa presenza di soggetti femminili nelle ricerche mediche e farmacologiche, che inficia la cura delle donne. L’ho pensato e condiviso a lungo, sempre con la sensazione di essere una carbonara partigiana, finché è uscito il libro di Silvio Garattini e Rita Banzi che ne parla con chiarezza e senza giri di parole. Un altro gap di genere che si somma agli altri.
Ma c’è un altro “destino”, forse solo generazionale se vogliamo credere che il futuro premierà le giovani donne, che riguarda la vecchiaia e la longevità del genere femminile nel mondo: il gap di reddito da lavoro e quindi pensionistico. Il Wealth Equity Index al centro del Report di WTW e World Economic Forum (WEF) quantifica in una media del 74% la differenza di ricchezza accumulata dalle donne rispetto agli uomini all’età della pensione nei 5 continenti oggetto dello studio. In Italia siamo al 30%. Naturalmente non è il salary gap responsabile, anche se si verifica, più o meno, in tutti i continenti. È la differenza di reddito annuale perché le donne lavorano meno degli uomini, intendendo lavoro remunerato, meno ore e meno a lungo, a causa delle interruzioni della carriera lavorativa per curare figli e genitori o suoceri anziani, e a causa, almeno in Italia, di un ritardo nella conquista del primo lavoro: il tasso di occupazione a 5 anni dalla laurea triennale è dell’86% per le donne contro il 92,4% degli uomini, mentre per laureati di secondo livello siamo a 85,2% contro 91,2%. E ciò a dispetto di un miglior rendimento delle ragazze negli studi.
Gender gap e longevità: serve una rivoluzione culturale
Secondo il Rapporto Inapp Plus 2022, l’ultima indagine Plus ha quantificato il totale degli inattivi che hanno lavorato in passato in 4.961.225 persone, di cui 1.416.385 (28,5%) uomini e 3.544.841 (71,5%) donne: di queste le donne over 50 rappresentano il 61,5%. Se si analizzano i motivi per i quali si è lasciato o si è perso l’ultimo, lavoro al netto dei pensionamenti che costituiscono la causa principale, la seconda causa più citata risulta essere l’impegno per assistenza ai familiari (31,4%), che diventa 37% nella fascia 65-74. Il 75% dei caregiver non professionisti, circa 7 milioni in Italia, sono donne, più di 5 milioni. Senza contare le nonne. Chi lascia il lavoro per curare un familiare bisognoso di assistenza o di cura? Chi percepisce lo stipendio minore all’interno della coppia. Il gatto si morde e rimorde la coda.
A tutto ciò si aggiunge una scarsa competenza finanziaria, per molti versi indotta culturalmente: sono gli uomini a prendere le grandi decisioni anche se le donne amministrano la cassa al minuto. E le donne sono decisamente poco aiutate a maturare maggiore consapevolezza finanziaria. Secondo Azzurra Rinaldi, coordinatrice della School of Gender Economics di UnitelmaSapienza, la paghetta viene data alle bambine in modo diverso rispetto ai maschietti: le femmine sarebbero indotte a chiedere, mentre ai maschi verrebbe data di default. Secondo il report di Chilwise, le ragazze britanniche ricevono in media il 20% in meno dei loro coetanei maschi.
Soluzione? Una rivoluzione culturale che, seppur persistente sotto traccia, urge che emerga e cambi una serie di cose che penalizzano una metà abbondante della popolazione. Ma anche educazione finanziaria mirata al genere femminile fin da piccole. Il nesso tra educazione e autonomia finanziaria è netto. La longevità mette sul problema il carico da novanta: gli effetti di una minore ricchezza e una minore indipendenza finanziaria diventa cronico quando si spalma su un’aspettativa di vita ormai ultra 85enne, di cui mediamente gli ultimi 5 anni da sole.
Testo a cura di Emanuela Notari
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